Curiosità. Il Presidente Pertini durante il Mondiale ’82 ha usato una pipa realizzata in Sardegna?

Si tratterebbe di una pipa in radica che gli fu regalata nello stesso 1982 da un artigiano ogliastrino.
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Sandro Pertini è stato un protagonista della storia italiana ed europea del XX secolo. Politico, giornalista, ed è stato il Presidente della Repubblica tra i più amati di sempre, in carica dal 1978 al 1985.
Pertini è stato anche un combattente della Grande Guerra e fiero antifascista durante il ventennio, pagando a caro prezzo la sua fede politica, fra prigionia e l’esilio in Francia. Nel 1945 partecipò attivamente agli eventi che portarono l’Italia alla liberazione dal nazifascismo e, nell’Italia repubblicana, venne eletto deputato all’Assemblea Costituente, poi senatore, poi nuovamente deputato, e ancora Presidente della Camera.
Resta indelebile, nell’immaginario comune, la sua esultanza di trionfo in occasione della finalissima di Madrid fra gli Azzurri e la Germania, in occasione dei Mondiali di calcio di Spagna ’82. Uno dei momenti rimasti nella storia della rassegna iridata.
In molti non lo sanno, ma si racconta che la pipa usata durante al Mundial ’82 da Pertini, fosse stata realizzata in Ogliastra. Ipotesi molto verosimile, in quanto il Presidente della Repubblica, grande collezionista di questo prezioso oggetto, proprio in quel periodo ricevette in dono un esemplare in radica realizzato a Lanusei.
Il regalo in questione fu inviato da Giorgio Micheli, celebre artigiano, re della pipa in radica e memoria storica ogliastrina, che in un’intervista concessa a Vistanet di qualche anno fa, realizzata da Nadir Congiu, affermò: «Nel 1982 decisi di inviare una pipa all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini e Luciano Lama, noto ex segretario della CGIL. Ovviamente non è stato facile farla arrivare al Presidente, dovendo affrontare giustamente mille controlli di sicurezza. Ma una volta arrivata a destinazione, il Presidente Pertini si preoccupò addirittura di mettersi in contatto con me via telefono. È stato molto piacevole e durante questo scambio telefonico mi chiese tanto di Lanusei, promettendo di imparare di più al riguardo di un paese sardo che non conosceva. Si diceva che la pipa in questione fu quella usata dal Presidente durante i Mondiali di Calcio in Spagna dello stesso anno».

Una delle pipe realizzate da Giorgio Micheli
In Sardegna un luogo di sofferenza è diventato meta di fascino e mistero: dove ci troviamo?

Nel 1875, sotto il sole implacabile della Sardegna, uomini condannati ai lavori forzati sbarcarono a Cala Sinzias per costruire il carcere agricolo più grande d’Italia. Tra fatica, carbone e campi coltivati, la vita qui era dura, e molti trovarono un destino tragico tra queste mura. Oggi, quelle stesse mura raccontano un’altra storia: di recupero, memoria e scoperta.
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La storia del carcere di Castiadas iniziò nel 1875, per volere di Eugenio Cicognani, in un periodo dell’anno così ardente e implacabile da sembrare un piccolo inferno terrestre. Eppure, i condannati ai lavori forzati, scortati dai loro carcerieri, sbarcarono senza esitazione sulla spiaggia di Cala Sinzias. Li attendeva una fatica immane: l’obiettivo era costruire il carcere agricolo più grande della Sardegna, se non dell’intera Italia, e ogni giorno era prezioso.
Con il passare del tempo, sempre più detenuti furono trasferiti a Castiadas per contribuire alla costruzione e allo sviluppo della struttura. Il carcere non era soltanto un luogo di reclusione: aveva una falegnameria, un’officina meccanica, una farmacia, una stazione postale, officine di fabbri e persino una stazione telefonica.
Intorno, terreni paludosi e selvaggi furono bonificati e trasformati in campi coltivati a cereali, legumi, frutta e verdura, destinati non solo a nutrire detenuti e personale, ma anche a scopi commerciali. Castiadas divenne persino famosa per la produzione di carbone, e la paga dei detenuti variava secondo il tipo di lavoro svolto.
Nonostante la sua organizzazione, il carcere non era certo un luogo di felicità: molti scelsero di porre fine alla loro vita piuttosto che sopportare le dure condizioni. Il carcere chiuse i battenti nel 1952, ma le storie di sofferenza e resilienza restarono impresse tra le sue mura.
Oggi, però, il vecchio carcere ha trovato una nuova vita. Restaurato e aperto al pubblico, è diventato una meta turistica affascinante, soprattutto in primavera, quando la folla non ancora invade la zona e l’aria è dolce e mite. Nel 2015, la ristrutturazione ha riguardato la casa del direttore, le scuderie e un’intera ala del carcere, trasformando un luogo di fatica e dolore in uno spazio di memoria e scoperta.

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