Leggende sarde: Giovanna Maria Podda, la strega di Cagliari
Non si sa bene se le varie accuse siano reali, in merito viene comunque sia considerato il fatto che probabilmente i sacerdoti o i parroci che denunciavano, molto frequentemente spedivano all'inquisizione semplici confessioni o voci del paese.
Descritte come donne dotate di poteri particolari e adoratrici del Demonio, la figura delle streghe ha radici antichissime, di molto precedenti al cristianesimo. Tra i racconti più diffusi, giusta commistione tra realtà e sovrannaturale, vi è quello che narra la storia di Giovanna Maria Podda, la “strega di Cagliari”.
A partire dal tardo Medioevo, le religioni cattolica e protestante, indicarono le streghe come “persone pericolose, da perseguitare ed estirpare dalla società con la violenza”. L’insieme dei fenomeni persecutori contro la presunta setta di adoratrici del Demonio è noto come ” caccia alle streghe “, pratica alla carta conclusa in Italia nel 1828, anno al quale risale l’ultimo caso di donna uccisa perché ritenuta essere una strega.
Nella prima metà del 1700 ai Qualificatores, ovvero teologi referenti degli inquisitori del Sant’Uffizio, arrivarono numerose denunce contro Giovanna Maria Podda, donna originaria di Guasila di circa sessant’anni, “ bruxa ” (ovvero strega) operante a Trexenta, a San Sperate e a Cagliari. Era l’1734 quando il primo dei 14 verbali conservati nell’archivio arcivescovile di Cagliari riporta la denuncia da parte di Antonio Maria Carta, subdiacono originario di Sorgono, il quale disse di aver visto Maria Podda vagare scalza a notte fonda per le vie di Stampace, esattamente in Via San Bernardo, mentre disegnava dei simboli per terra.
La donna confessò alcune sue pratiche stregonesche nel 1738, quando dichiarò di aver utilizzato del sangue mestruale per sedurre proprio Antonio Maria Carta. L’uomo si era avvicinato alla strega per guarire da una malattia. Il subdiacono, dopo aver bevuto la “pozione” realizzata da Maria Podda con acqua e lo sputo di una fattucchiera raccolto da suo padre, dichiarò che tale pratica migliorò le sue condizioni di salute.
Al Santo Uffizio ricevettero qualche tempo dopo una lettera inviata dal parroco di Selegas, in cui veniva riportata la deposizione di Rosa Chicu. Raccontava che Maria Podda si era presentata a casa sua, e sapendo che stava per essere licenziata dal padrone dell’osteria dove lavorava, le offrì un rimedio per evitare ciò dietro compenso di 7 soldi. Nel caso in cui non avesse accettato, Rosa Chicu avrebbe dovuto consegnare 3 pietre prese da 3 crocevia alla strega, durante la giornata di Pasqua. Il fine di questo gesto è sconosciuto.
Un altro parrocco, Thomas Atiana di Senorbì, inviò un verbale in cui Francesco Orrù, maestro, denunciava Maria in quanto la donna intendeva guarire sua moglie attraverso la magia. Per tale azione chiese dei soldi, minacciando che, se si fossero confidati con altre persone, avrebbe utilizzato contro di loro le sue arti magiche.
Il frate e minimo Calificador del Sant’Uffizio, Giuseppe Salis, riportò la deposizione di Domenico Porqueddu nell’aprile del 1741. Residente a Suelli ma originario di Cagliari, Porqueddu riferì che due anni prima Maria Podda aveva evitato l’arresto di un uomo utilizzando le sue arti magiche, con rituali basati sull’utilizzo di terra e ossa umane.
Numerose sono le denunce e incuriosiscono le incriminazioni: si va dall’accusa di aver migliorato la qualità delle uova prodotte da alcune galline, a quella di aver liberato un bambino tormentato dal malocchio. Non si sa bene se le varie accuse siano reali, in merito viene comunque sia considerato il fatto che probabilmente i sacerdoti o i parroci che denunciavano, molto frequentemente spedivano all’inquisizione semplici confessioni o voci del paese. Spesso per la paura di perdere, a causa della fama di Maria Podda, la loro influenza sui devoti. Non si spiega infatti perché anche coloro che avevano ricevuto dei benefici dalle magie praticate dalla donna di Guasila, poi andassero sistematicamente a denunciarla.
Non si sa però che fine abbia fatto Giovanna. Probabilmente venne allontanata da paese a paese, per questo numerose sono le denunce di stregoneria contro la donna rintracciabili negli archivi storici.
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Lo sapevate? l’attore cagliaritano Amedeo Nazzari recitò con Fellini e Anna Magnani. Interpretò anche Caravaggio
Salvatore Amedeo Carlo Leone Buffa, in arte Amedeo Nazzari, nato a Cagliari il 10 dicembre del 1907 prese il nome di suo nonno per sfondare nel mondo dello spettacolo. Nacque in via Caprera, in una casa che poi fu abbattuta agli inizi degli anni Cinquanta. A Cagliari gli è stata dedicata la piazza davanti al Teatro Lirico, nel Parco della Musica. Lavorò con Lattuada e Fellini.
Sardi famosi: l’attore cagliaritano Amedeo Nazzari, super divo del cinema italiano.
Salvatore Amedeo Carlo Leone Buffa, in arte Amedeo Nazzari, nato a Cagliari il 10 dicembre del 1907 prese il nome di suo nonno per sfondare nel mondo dello spettacolo.
Nacque in via Caprera, in una casa che poi fu abbattuta agli inizi degli anni Cinquanta.
A Cagliari gli è stata dedicata la piazza davanti al Teatro Lirico, nel Parco della Musica.
Suo padre era proprietario di un pastificio (aveva diversi mulini) ed era una persona benestante, sua madre figlia del presidente della corte d’appello di Cagliari. Il piccolo Amedeo ha solo sei anni quando suo padre muore e la madre si trasferisce con lui e le sorelle a Roma.
Dopo il collegio dai salesiani e gli studi di ingegneria, abbandonati prima della laurea, passa al teatro, sua grande passione fin dalle prime recite scolastiche. L’esordio da professionista avviene nel 1927.
Nel 1935 viene notato da Elsa Merlini, che gli offre una parte nel film che sta per girare. Il film, Ginevra degli Almieri, non sarà un successo, e Nazzari tornerà al teatro. Ancora una volta sarà un’attrice, Anna Magnani, a notarlo soprattutto per la prestanza fisica e ad imporlo nel cast di Cavalleria (1936). Ancora un film in divisa sarà nel 1938 il suo secondo successo di pubblico: Luciano Serra pilota, sempre con la regia di Alessandrini. Iniziano a fioccare le offerte e il suo volto è sempre più conosciuto.
Nel 1941 alla Mostra di Venezia vince la futura Coppa Volpi per il film Caravaggio, pittore maledetto.
Sempre in quell’anno il celebre La cena delle beffe lo consacra definitivamente come “divo” del cinema. Il film, diretto da Alessandro Blasetti, è un dramma in costume che si svolge nella Firenze dei Medici.
Lavorerà con Alberto Lattuada e con Anna Magnani come co-protagonista, nel 1957 viene scelto da un Federico Fellini ormai affermato, per recitare in Le notti di Cabiria un ruolo di divo in decadenza.
Sempre nel 1957 Nazzari sposa Irene Genna, attrice italo-greca, da cui un anno più tardi nascerà la figlia Maria Evelina. Dopo oltre vent’anni di successi, nei ’60 arrivano le prime delusioni: la più grande è il ruolo del principe Salina nel Gattopardo di Visconti, proposto a lui, ma che va poi a Burt Lancaster per ottenere finanziamenti da una casa di produzione americana.
In Italia si apre la stagione d’oro della commedia all’italiana, ma salvo qualche sporadica eccezione, Nazzari si rifiuta di interpretare questo tipo di copioni. Nazzari muore a Roma il 7 novembre del 1979.
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