Convivere con il Covid: l’esperienza di Gabriele Marongiu, medico sardo oggi negativizzato
Raccontiamo ancora una volta l’esperienza di chi ha combattuto il Covid in prima persona, questa volta coinvolgendo un medico che dopo la paura ha provato la gioia della negatività al test Covid.
È inevitabile dover parlare del Covid, della diffusione del virus e delle sue conseguenze e per questo abbiamo coinvolto ancora una volta una persona che nel passato recente ha dovuto affrontare la malattia causata dal virus prima di potersi dichiarare negativizzata e “libera”.
Oggi parliamo con il dottor Gabriele Marongiu, 52 anni, nato ad Arzana ma da tempo residente a Bari Sardo. Il dottor Marongiu è medico cardiologo, lavora presso il poliambulatorio di Lanusei e ora che è negativizzato da tempo, ha voluto darci l’occasione di raccogliere un’altra importante testimonianza, sia da comune cittadino che da medico in prima linea.
Quando e come ha scoperto di essere stato contagiato?
Agli inizi di novembre ho notato una cosa strana, ossia di aver perso totalmente l’olfatto. Me ne sono reso conto poiché un giorno non riuscivo a sentire l’odore penetrante e intenso dell’olio nuovo, una cosa praticamente impossibile quando lo si ha sotto il naso. Così, sapendo che uno dei primi sintomi del Covid fosse proprio questo, ho fatto un primo tampone semplice il giorno seguente e poco dopo anche quello molecolare.
Purtroppo, questi mi hanno confermato la positività al virus e così ho preso immediatamente le misure necessarie per tutelare me stesso, la mia famiglia e in generale le altre persone. Devo dire che nel periodo di poco antecedente a questi fatti, avevo fatto il vaccino antiinfluenzale, sapendo che se avessi mai avuto sintomi riconducibili a una influenza avrei potuto ricondurli a un probabile contagio dal virus.
Ci sono possibilità che lei sia stato contagiato mentre svolgeva il suo lavoro?
Considerando che nessuno dei miei famigliari o amici stretti è stato riscontrato positivo dopo i test, è probabile che lo abbia preso in ambito lavorativo. Dopotutto noi che lavoriamo nella sanità siamo fra i più esposti, cambiamo spesso sede di lavoro ed è innegabile che rischiamo qualcosa in più.
Ha avuto paura? Ha temuto le reazioni da parte delle persone che la circondavano?
Penso di aver percepito un poco di timore comprensibile, ma mai in maniera palese. Posso dire che mi è andata davvero bene, non sono stato abbattuto dalla malattia che è severa e comporta complicazioni. La paura è derivata dalle costrizioni obbligate, cose che te la fanno vivere davvero male. Per fortuna possiedo un appartamento con un ampio giardino, spazio che mi ha permesso di vivere questo momento delicato con maggiore serenità.
Ma non nego di aver sofferto la solitudine, bombardato continuamente dalle informazioni negative dalla tv, dai social, sentivo troppo spesso parlare dei morti e questo, insieme alla mia competenza, mi confermava il fatto che questo virus non era e non è una fesseria. È una malattia impegnativa e dunque è normale vivere situazioni difficili, ma considerando la mia logistica ho avuto una situazione fortunata.
Vuole dire qualcosa ai nostri lettori riguardo alla situazione spinosa che ancora viviamo?
Non va sottovalutato il virus e non vanno sottovalutati i consigli che vengono dati, anche quando severi. Sappiamo bene quanto sia duro il distanziamento, ma non va drammatizzato ulteriormente. A fronte di questa paura è importante non isolare i più fragili, gli anziani. Adesso bisogna prestare attenzione alle varianti del virus che in più parti del mondo si stanno pericolosamente affacciando, è necessario tenerne conto in maniera seria e organizzata.
Anche perché il vulnus maggiore sono i problemi inerenti alla classe medica. Siamo pochi e in molti casi disorganizzati, necessitiamo e dobbiamo prestare più attenzione e in nessun modo possiamo attribuire la colpa ai pazienti. Ci vuole molta pazienza e so bene quanto sia difficile, ma non bisogna trascurarsi.
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