La storia di Patrizia Muceli, primo caso accertato di Covid-19 a Gairo: “La nostra esperienza con il maledetto virus”

Patrizia Muceli, di Gairo, è stata la prima positiva al COVID-19 del suo paese. Lei e la sua famiglia, interamente positiva, come tanti altri ha affrontato il decorso del virus, tra l’isolamento, la paura, il giudizio, fino alla diagnosi di negatività.
Patrizia Muceli, di Gairo, è stata la prima positiva, almeno dichiarata ufficialmente, al Covid-19 del suo paese. Lei e la sua famiglia, interamente positiva, come tanti altri ha affrontato il decorso del virus, tra l’isolamento, la paura, il giudizio, fino alla diagnosi di negatività.
Conosciamo meglio la sua storia.
Come e quando si è resa conto di aver contratto il virus?
Mi sono accorta perché, improvvisamente, ho iniziato a manifestare i sintomi di cui tanto si parlava. Tutto è iniziato con mio marito: stava male e con lui anche un suo collega. Dopo qualche giorno sono stata male anche io e quindi da quel momento abbiamo preso un distacco da tutti, in attesa del tampone in via precauzionale. Non sono andata al lavoro fino al risultato che purtroppo, dopo qualche giorno, è stato positivo.
Che sintomi ha avuto?
Per fortuna ho avuto, tra i classici sintomi del virus, quelli più lievi: la febbre, non altissima, ma soprattutto nausea, vomiti, diarrea, stordimento, dolori muscolari e linfonodi ingrossati. Dopo alcuni giorni non sentivo più nessun tipo di odore o sapore e avevo un mal di testa continuo. Solo dopo una settimana la febbre è scesa.
Quali procedure sono state portate avanti dagli organi competenti, dalla diagnosi in poi?
Ho ricevuto come da protocollo la chiamata dell’Asl: dall’altro capo del telefono, una ragazza gentile mi ha detto di essere positiva al coronavirus. In quel momento sono rimasta ammutolita, neanche me ne resi conto, e con tanto tatto, gli operatori, mi hanno dato il tempo di assorbire il colpo, richiamandomi dopo dieci minuti. Ovviamente, da quel preciso momento, sono iniziate le procedure: sono dovuta andare in isolamento lontano dalla mia famiglia e dare i numeri di telefono in caso mi fossi sentita veramente male. Dopo quel momento tutte le persone che hanno avuto contatto con me hanno dovuto fare a loro volta il tampone. I miei figli e mio marito sono risultati positivi, per fortuna con lievi sintomi o asintomatici. Ogni tre giorni circa, la finanza e gli organi competenti venivano a controllare, giustamente, se stessimo rispettando la quarantena. Sono stati gentilissimi e per me è stato un sollievo vedere qualcuno che controllasse che tutto andasse bene e che noi stessimo bene. Inoltre, anche l’USCA di Bari Sardo ci chiamava spesso, sempre per sapere se tutto stesse andando per il meglio.
Come si è relazionata con i suoi cari?
Inizialmente ho affrontato due giorni di isolamento lontana da tutti. Quando abbiamo avuto tutti la diagnosi di positività, ci trovavamo in una casa in campagna quindi è stato facile sin da subito limitare i contatti. Abbiamo avvisato i miei suoceri – che abitano vicino – e tutti i parenti e gli amici. Sono state chiamate tutte le persone che avevano avuto un possibile contatto con me o con i membri della mia famiglia.
Come ha preso la notizia della sua positività al COVID-19, dal punto di vista psicologico?
Da questo punto di vista, come immaginerete, non è stato per niente semplice. Essendo un virus sconosciuto ma soprattutto a causa dei sintomi che cambiano da persona a persona, ogni minimo dolore al petto, che non avrei probabilmente considerato in situazioni normali, mi portava in uno stato di preoccupazione e pesantezza incredibili. Vivevo continuamente in ansia. Per me e la mia famiglia è stato un mese veramente difficile, ma siamo stati fortunati considerati i sintomi lievi. Psicologicamente, ci ha aiutato tantissimo la vicinanza dei nostri cari. Infatti, tantissimi parenti e colleghi si sono fatti sentire spessissimo, per chiamata o con un semplice messaggio, per sapere come stessimo. Li ringrazio tanto.
Quali sono stati i momenti più difficili che avete dovuto affrontare?
Per me, il momento più difficile è stata l’attesa dell’esito del tampone dei miei cari. Dopo la diagnosi di positività della mia famiglia, avevamo paura di aver contagiato amici e parenti. Alla notizia di non aver contagiato le persone che amiamo, ci siamo tranquillizzati.
Quando invece è arrivata la diagnosi di negatività, cosa avete provato?
Il tampone negativo sembrava non arrivare mai. Infatti dopo due settimane di quarantena, il secondo tampone risultò per tutti noi ancora positivo. Quando è arrivata la diagnosi di negatività è tornata anche la nostra tranquillità. Infatti, da quel momento siamo stati autorizzati a tornare alle nostre vite, con un senso di libertà e spensieratezza, lasciandoci alle spalle quel mese difficile.
Nei piccoli paesi, molto spesso, chi contrae il virus si sente emarginato e giudicato. Vi siete trovati in questa situazione?
Purtroppo sì, mi sono trovata in questa situazione. Sono stata la prima positiva al Coronavirus del mio paese, almeno la prima dichiarata ufficialmente. Da quel momento ho scoperto di persone a me vicine e tanti abitanti del paese, che, senza motivo apparente se non una paura ingiustificata o semplicemente cattiveria, sono andati a sparlare di me e della mia famiglia. Ci hanno paragonato a degli untori, come se il coronavirus fosse la peste, ci hanno accusati di andare in giro per i paesi a contagiare le persone. Questi discorsi ci hanno feriti: non solo perché abbiamo, sin da subito, rispettato le limitazioni e regole imposte per la salvaguardia di tutti, ma specialmente perché in questi momenti di difficoltà, di tristezza ed ansia, si ha bisogno di solidarietà e comprensione. Avere o aver avuto il Covid-19 non è una vergogna, come non lo è avere qualsiasi altra malattia o virus.

© RIPRODUZIONE RISERVATA