Nonostante nella notte si fosse verificato uno sciame sismico, le scosse erano lievi e si decise di non chiudere le scuole il giorno dopo in Molise. Ma la mattina del 31 ottobre 2002 alle 11.33 una scossa molto più forte delle altre colpì la regione, provincia di Campobasso con epicentro tra i comuni di San Giuliano di Puglia, Colletorto, Bonefro, Castellino del Biferno e Provvidenti.

Rimase aperto anche l’Istituto Francesco Jovine, la scuola elementare di San Giuliano di Puglia. La struttura era stata poco prima interessata da lavori di ampliamento. Con la scossa più forte l’edificio cedette, letteralmente sbriciolandosi. In quel momento all’interno si trovavano 58 alunni, 8 insegnanti e due bidelli. Un’intera classe, 26 bambini e la loro maestra rimasero uccisi sotto le macerie, il 27esimo morì poco dopo in ospedale. Nel terremoto morirono anche altre due persone in altre zone, travolte dai calcinacci.

All’indomani della tragedia però partirono le indagini per attribuire le responsabilità di una vergognosa pagina della storia italiana che poteva essere evitata. Si scoprì infatti che la scuola era stata riaperta dopo i lavori di ampliamento senza che venisse fatto un collaudo.
Nella sua requisitoria il Procuratore Mangone scrisse: «Se è vero che il sisma del 31 ottobre 2002 fu l’evento scatenante della tragedia, è anche vero che, se le norme fossero state rispettate quando si decise di sopraelevare l’istituto scolastico, quella scossa da sola non sarebbe bastata a far crollare l’edificio, e prova ne sia che nel resto del paese ci furono crolli e danni anche gravi a case e palazzine, ma nessun edificio implose come la scuola, fino a polverizzarsi».

Dopo i tre gradi di giudizio ci furono le condanne del sindaco di allora, il progettista, il tecnico comunale e i due costruttori. La tragedia servì però a focalizzare l’attenzione sulla fragilità degli edifici scolastici e subito dopo furono introdotte leggi più severe sui controlli.

Ci sono compleanni che smettono di essere semplici ricorrenze private per diventare un patrimonio di tutta la comunità. È il caso di Tzia Reparata Meloni, la cittadina di Narbolia che ha appena tagliato il traguardo dei 101 anni, circondata dall’affetto dei suoi cari e dall’ammirazione di tutto il paese.

Foto di Pierino Vargiu

Arrivare a 101 anni significa aver attraversato un secolo di cambiamenti epocali, guerre, rinascite e trasformazioni, conservando però quella tempra che solo le donne di Sardegna sanno mostrare. Tzia Reparata rappresenta oggi una memoria storica vivente, un esempio di forza e lucidità che onora la tradizione dei centenari sardi.

Foto dal profilo FB Comunità cristiana di Narbolia – S. Reparata

La comunità di Narbolia si è stretta idealmente intorno alla sua “nonnina”, che ha festeggiato con la semplicità e la dignità che l’hanno sempre contraddistinta. Gli auguri più belli sono arrivati non solo dai familiari, ma da tutti i concittadini che vedono in lei un simbolo di speranza e di continuità.

Si ringrazia per gli scatti il fotografo dei centenari sardi Pierino Vargiu e la Comunità cristiana di Narbolia – S. Reparata.