L’Associazione Skizzo e Non Solo Murales, riprendono da dove avevano lasciato prima della pandemia: rendere San Gavino un unico grande museo a cielo aperto fatto di colori e opere d’arte. Per questo per ripartire si sono rivolti a Millo.

Francesco Camillo Giorgino, è uno degli street artist italiani più conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Classe 1979, Millo, pugliese di origine vive a Pescara. Nel 2014 ha vinto la B.Art Competition, aggiudicandosi la possibilità di dipingere 13 muri nella città di Torino. La sua arte, però, non si è fermata in Italia. Roma, Milano, Bologna, Firenze, Parigi, Londra, Lussemburgo e Rio de Janeiro, ospitano le sue opere, dallo stile inconfondibile.

«Trovare l’equilibrio durante il covid19, arrangiarsi con quello che si aveva a disposizione – questo il messaggio che vuole trasmettere il murale, che lo stesso Millo ha spiegato – stare insieme e ritrovarsi. Il coronavirus ha momentaneamente cambiato la nostra vita quotidiana, ha reso diversa la nostra routine e ci ha costretti a dei piccoli, grandi sacrifici».

Anche questa nuova opera è stata resa possibile grazie al contributo della comunità. Come tutte le opere di cui si prende cura l’Associazione Skizzo, anche questa è stata pagata grazie alla vendita del merchandising, le litografie. Inoltre come ha tenuto a precisare Ivan Licari dell’Associazione,un ringraziamento va a Cfadda che ha messo a disposizione gratuitamente le vernici e come sempre la Tecnoalt di Monastir che supporta queste iniziative mettendo a disposizione il cestello meccanico.

E questo è solo l’inizio, perché l’amore per il proprio paese spinge questi fantastici volontari a non fermarsi, a progettare nuove opere, per rendere San Gavino sempre più affascinante nella sua unicità. Un modo originale ma efficacissimo per attrarre visitatori e muovere l’economia locale.

Tra i diversi murales che decorano le Miniere Rosas, realizzati da Ielmo Cara tutti molto affascinanti ce n’è uno, che sebbene ci ricordi le immagini tipiche dei minatori a petto nudo che lavorano nel ventre della terra, caratteristiche delle nostre miniere, in realtà non rappresenta minatori sardi, ma toscani.

foto #GO

In Sardegna la cultura mineraria è profondamente radicata e tutti noi sappiamo quanto sia stato faticoso, pericoloso e quasi sempre sottopagato il lavoro del minatore. Siamo dunque tutti abituati a vederle e le abbiamo ben stampate nella nostra memoria, le immagini degli uomini al lavoro sotto terra, proprio per questo anche il murale di Ielmo Cara che si trova nelle Miniere Rosas a Narcao, diamo per scontato rappresenti minatori sardi.

In realtà come racconta lo stesso autore per realizzare quel murale si è ispirato a uno scatto di Corrado Bianchi esposto nella sede del Geoparco Tecnologico e Archeologico delle Colline Metallifere. «Sono nato a Gavorrano – racconta Ielmo Cara – ma all’età di 7 anni sono tornato in Sardegna e sono andato a vivere a Carbonia. I miei genitori erano originari di Narcao, e io ci andavo molto spesso, dunque fin dalla mia nascita ho respirato la vita di miniera».

L’artista è tornato due volte a Gavorrano nella sua vita, la prima volta quando era ancora molto giovane, trovò tutto come lo aveva lasciato. La seconda volta invece, al suo ritorno nel paese toscano trovò tutto stravolto. In gran parte la miniera era stata smantellata e soprattutto era sparita la la teleferica, la più lunga d’Europa, che dalle Colline Metallifere scendeva giù fino al mare per imbarcare il minerale estratto.

«Fu una delusione cocente – ricorda cara con nostalgia – un vero peccato. Le miniere antiche andrebbero tutte conservate, rese visitabili, in modo che le nuove generazioni conoscano e capiscano il nostro passato. Per questo quando mi è stato chiesto di realizzare i murales nella miniera di Narcao, ho deciso di ispirarmi a quella foto».

Ielmo Cara, disegnatore, pittore e incisore ha esposto in numerose mostre anche nella Penisola. Ma i suoi murales nelle Miniere Rosas hanno quel fascino che solo il legame affettivo può dare: «Mi auguro che i miei murales abbiano contribuito a sensibilizzare il pubblico -conclude l’artista narcarese – sulla necessità di conservare e tutelare queste testimonianze di archeologia industriale che raccontano la durissima vita di chi lavorava nelle miniere alle nuove generazioni».