Matteo Floris

Una giornata di sole ha accolto questa mattina la prima gara OCR organizzata nel capoluogo sardo. Più di trecento atleti, divisi in dieci batterie, si sono affrontati per uno sport che ha avuto una grande crescita negli ultimi anni. I corridori sono partiti dallo stabilimento Lido del Poetto per poi attraversare la zona militare sita sulla Sella del Diavolo. Per l’occasione, l’esercito ha messo a disposizione dell’organizzazione alcuni ostacoli d’addestramento presenti all’interno dell’area.

La gara prevedeva 10 chilometri e 20 ostacoli, tra muri da scavalcare, trasporto di sacchi, sottili assi da attraversare in equilibrio e tante altre difficoltà da superare.
L’evento ha richiamato un grande pubblico di tutte le età, che ha scortato gli atleti all’arrivo con forti incitamenti. Prima classificata tra le donne la favorita Simona Porta (Team Lions), ottava agli europei con il miglior piazzamento italiano di sempre, in un ottimo 1h07’57”. Al secondo posto Elisa Cau (Team Lions), seguita da Daniela Tamara Pola (#Semulimeddu Planet fitness). Anche tra gli uomini si sono registrati buoni tempi, con Marco Natalini (For fitness team monkey) che vince in 49’13”, battendo in uno scontro al fotofinish Cristian Perra (OCR team IMSA) di soli tre secondi. Terzo, con un’altra ottima prestazione, Giacomo Melis (Is Molentis OCR).
Momento di suspense finale per un ricorso che avrebbe potuto stravolgere il podio maschile, a causa di un cambiamento del regolamento dell’ultim’ora non annunciato dagli organizzatori. Alla fine, il tutto si è concluso con un nulla di fatto e la conferma della classifica, e gli atleti riuniti per il consueto terzo tempo a tavola al termine della gara.

Che cosa significa “stracìa” in sardo campidanese? Il termine che racconta il rapporto ancestrale con il cielo dell’Isola.

Da dove deriva questo termine così particolare che indica qualcosa di ben preciso?

Che cosa vuol dire stracìa in sardo campidanese e da dove deriva questo termine così particolare che indica qualcosa di ben preciso, una parola che affonda le sue radici nella storia profonda della Sardegna terra di tradizioni agropastorali, dove gli agenti atmosferici hanno sempre avuto importanza e valenza, dove i ritmi delle stagioni e gli agenti atmosferici, sin dai tempi più antichi, venivano osservati, temuti e interpretati, e a questi veniva dato significato anche in oticca religiosa pagana, naturalmente, dai nuragici e da chi aveva preceduto queste genti, perché il cielo era guida, monito e promessa.

In questo scenario linguistico e culturale prende forma stracìa, un nome strano e particolare che va a indicare la pioggia battente, quella violenta, portata talvolta dal vento freddo, che va a sbattere sui vetri delle finestre o sul viso dei malcapitati sprovvisti di ombrello, un fenomeno atmosferico che, per chi viveva di campi e di pascoli, non era soltanto acqua dal cielo ma un evento capace di influire sul raccolto, sulla transumanza, persino sui riti legati alla protezione delle greggi. Sì, perché stracìa, in barbaricino traschìa, vuol dire pioggia battente, violenta, ma anche bufera, e porta con sé un’eredità antichissima, una storia etimologica che collega l’isola al mondo classico, poiché deriva dal termine latino Thrascias, che a sua volta deriva dal greco Thraskìas, ou, il vento di Nord Ovest, notoriamente freddo, simile a quello stesso vento che da secoli soffia sulle coste e sugli altipiani della Sardegna modellando paesaggi e abitudini. Capire il significato di stracìa significa dunque immergersi nel modo in cui i sardi hanno sempre guardato il cielo, attribuendo a ogni respiro del vento e a ogni rovescio di pioggia un nome preciso, un valore e una memoria.