Dalla Sardegna a New York: quando i sogni si avverano e il cibo dell’Isola conquista la grande mela
C’è sempre un sardo ad ogni angolo del mondo, e anche qui a New York se ne contano parecchi. Tre di loro hanno portato in valigia le tradizioni sarde e hanno aperto tre ristoranti di successo. La cucina sarda, alle volte reinventata alla New York style, con su pani frattau per fare un brunch, altre volte totalmente prodotta alla vecchia maniera, con is culurgiones chiusi a mano. A New York sì, ma con la Sardegna nel cuore
Si sa, il sardo è sardo, dovunque si trovi e qualsiasi cosa faccia, l’ospitalità è insita nel suo DNA tanto da farti sentire sempre a casa. Come il suo essere cocciuto. Due doti che se unite fanno nascere dei sogni. Tre grandi sogni che si sono avverati e che ci hanno raccontato Daniele Fiori proprietario di Arco Cafè, Claudio Coronas proprietario con la moglie Rossana Patteri, del D.O.C wine bar e Giorgia, Luca e Nicola proprietari di Epistrophy. I quali hanno avverato un piccolo, ma grande, sogno a New York. Tre ristoranti sardi, ben nascosti in tre distinte zone della città, ognuno diverso dall’altro, come i quartieri che li rispecchiano.
Quello più antico dei tre è sicuramente il D.O.C wine bar, presente dal 2001 nel quartiere di Williamsburg a Brooklyn. Il suo proprietario, Claudio Coronas, nuorese di origine, odiava con tutto sé stesso la grande mela e mai si sarebbe immaginato di vivere qua un giorno, così confessa. Nel lontano 1999, accade però, che va in vacanza a New York con sua moglie e si innamora così tanto della città da volersi trasferire. Sempre attratto dalla voglia di fare affari e dall’amore per il cibo, e ancora di più per il vino, fa crescere qualcosa di unico, qualcosa che non c’era fino a quel momento: un ristorante sardo.
La strada è stata tutta in salita racconta lui stesso: «Questo locale l’ho costruito interamente io da zero, tutto fatto a mano, in legno. L’ho costruito perché c’era fame e dovevo sopravvivere, ho fatto tutti i lavori possibili prima di arrivare ad avere il D.O.C wine bar». Claudio ha lavorato fin da quando era piccolo, iniziando dalla fabbrica di Sughero di suo nonno a Calangianus: «Nel sangue, però, avevo la voglia di fare affari – ricorda Caludio – ho passato un anno qua da solo, vivendo in una New York non ancora sicura, in un quartiere dove di notte c’erano le sparatorie».
«Io nasco come muratore, manovale, e oggi invece sono un ristoratore. Una passione nata fin da quando ero piccolo grazie a mia mamma -prosegue Claudio – una donna della Gallura che mi ha insegnato tutti suoi segreti culinari. Anche se il mio vero lavoro è il vino, il cibo in realtà è solo un hobby». E questo lo si può notare dalla grande varietà di vini sardi e non, presenti nel menu, alcuni fieramente in bella mostra nel locale. Una volta entrati nel locale, infatti, si respira l’aria della Sardegna, quella dell’entroterra: selvaggia e mistica; con maschere di Su boe di Ottana appese alle pareti, cestini sardi fatti a mano e gonne di costumi sardi. Rireando così una sua piccola fetta di Sardegna a New York. Da provare assolutamente: la fregola con il pistacchio, un’eccellenza culinaria!
Spostandoci invece nel sud di Manhattan, esattamente nel cuore di Nolita, troveremo qualcosa di completamente diverso, qualcosa che si discosta totalmente dal locale precedente. A Nolita infatti è nato Epistrophy, un locale nato dall’idea di una famiglia sarda, esattamente cagliaritana, che innamoratasi di New York City decide di fare di questa città la sua seconda casa. Epistrophy è uno di quei rari ristoranti italiani di New York in cui puoi andare a tutte le ore del giorno per fare una colazione, un pranzo o bere semplicemente un bicchiere di vino.
Questo locale stupisce per la reinvenzione dei piatti sardi. I sapori, infatti, sono un mix di piatti riadattati al gusto internazionale e americano: pancakes fatti con ricotta sarda, su pani frattau servito per il brunch, malloreddus vegetariani. Insomma, idee diverse per approcciarsi e amalgamarsi meglio anche alla gente del posto, ma soprattutto far conoscere e amare la cucina sarda, che rimane genuina e di qualità. Presente da oltre 10 anni, il ristorante Epistrophy presenta una location di un tipico salottino di casa, che si rifà al salotto familiare in cui vivevano i proprietari quando stavano in Sardegna.
L’ultimo locale è il più recente fra i tre, Arco Cafè, aperto da Daniele e da sua sorella, nel 2014. Questo localino di due nuoresi si trova nel cuore del Upper West Side, nella Amsterdam Avenue. Come la descrive Daniele una “neighbor’s kitchen”, la cucina del tuo vicino di casa. La spinta di trasferirsi nella grande mela, racconta Daniele, è nata da sua sorella che si era trasferita un anno prima per lavorare come cameriera. «Il mio era il classico ‘sogno americano’, sembrava un’utopia aprire un ristorante qua – afferma Daniele- e non pensavo che lo avrei realizzato davvero. Un salto nel buio che ha comportato tanti sacrifici, ma se credi tanto in qualcosa, alla fine si avvera».
Daniele parla con affetto della Sardegna: «Il ricordo che ho della mia terra è un ricordo vivo – conclude il giovane nuorese- come l’essere sardo. È un qualcosa che non smette di essere, anche a chilometri di distanza. Il rapporto tra me e la mia terra non è un rapporto che è finito, anzi. Io vivo per la Sardegna, io le appartengo». Infatti, quello che fanno ad Arco Cafè è proprio questo, raccontare l’amore per la propria terra tramite i loro piatti, e molti americani rimangono cosi affascinati assaggiando culurgiones o seadas che come meta per le vacanze decidono di andare l’anno successivo proprio in Sardegna. Creando così una reale esigenza.
La concorrenza è veramente spietata a New York, tanti ristoranti, e troppe possibilità di scelta. Però, se ci si ritaglia un proprio spazio come hanno fatto questi tre ristoratori, e se si ha un’idea valida, ce la si può fare. L’idea alla base è proprio quella di rimanere autentici, avendo la capacità di sapersi adattare e proporsi in una realtà come quella della grande mela. Una cosa è certa: in ognuno dei tre casi, sedendosi ai loro tavoli, ci si sentirà in posto unico, ci si sentirà a casa. Articolo di Laura Pace
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