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Lo sapevate? Negli anni ’80 a San Giovanni di Sinis c’era un villaggio di capanne di falasco

foto Amicomario

Erano delle piccole abitazioni costruite direttamente sulla sabbia della spiaggia, che servivano da ricovero per i pescatori e i loro attrezzi da lavoro. La loro origine è antichissima, infatti queste costruzioni per molti aspetti sono simili alle capanne che costituivano il villaggio intorno al nuraghe. D’altra parte nella Penisola del Sinis, l’uomo si è insediato prestissimo, fin dal neolitico, lo testimoniano le tombe ipogeiche del villaggio di Cuccuru is Arrius.

foto Amicomario

Sebbene la gente del posto le chiamasse “Is barraccas”, le capanne di falasco erano tutt’altro che baracche. Erano solide e interamente biodegradabili. La pianta rettangolare, la struttura retta da 4 grandi pali verticali che affondavano per un metro e mezzo nella sabbia, e altrettanti orizzontali, il tetto spiovente e le pareti realizzate con un intelaiatura di canne e giunco sulla quale si fissavano i fasci di falasco erano delle abitazioni sane e assolutamente ecologiche, perché non serviva malta né cemento né tanto meno eternit.

La scelta del falasco come materiale per rivestire le capanne non era dovuta solo al fatto che essendo una pianta palustre cresceva abbondante nella Penisola del Sinis, ma anche alle sue caratteristiche. Il falasco, “Su cuccùri”, in inverno, con la pioggia si dilatava chiudendo tutti gli spazi tra una fascio e l’altro impedendo alla pioggia di penetrare all’interno, mentre in estate essiccandosi si restringeva creando la circolazione dell’aria, in modo che quella calda andasse verso l’alto a la fresca rimanesse in basso.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 lungo la spiaggia ne furono ricostruite tante, forse troppe e i proprietari le utilizzavano come case per le vacanze, ma prive dei servizi igienici. Un po’ come è accaduto al Poetto con i casotti. Molte finirono incendiate, spesso dolosamente, le altre demolite per decisione dell’amministrazione comunale. Quelle ancora esistenti sono pochissime.

Sarebbe stato più giusto, salvarne un certo numero e renderle visitabili, perché rappresentano una testimonianza della vita dei pescatori, e la dimostrazione che l’uomo anticamente sapeva convivere con la natura, sfruttarla senza danneggiarla. Forse c’è ancora tempo per provare a ricreare un piccolo villaggio prima che i depositari delle tecniche di costruzione che conoscono tutti i segreti del falasco scompaiano anche loro.

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