Vi ordino di andare a vedere al cinema “L’uomo che comprò la luna”
Voglio parlare del film “L’uomo che comprò la luna”, perché me lo concedono, ed è uno di quei film che possono appartenere agli spettatori, il regista lo fa e lo spettatore se lo gusta per conto suoi, anche, trovandovi un modo particolare, nuovo, originale, di trattare cose vecchie.
Voglio parlare del film “L’uomo che comprò la luna”, perché me lo concedono, ed è uno di quei film che possono appartenere agli spettatori, il regista lo fa e lo spettatore se lo gusta per conto suoi, anche, trovandovi un modo particolare, nuovo, originale, di trattare cose vecchie.
Si dice che tutto è stato scritto, e la frase mette in ombra banalmente, mai come in questo caso, il come. Dalla prima scena: che è come un avvertimento, un indizio, intuisci, prosegui e confermi, alla fine ti appaghi, sei arrivato a piaggia, nuotando leggero a pelo d’acqua, immergendoti ogni tanto. Con la voglia di rifarlo, perché non sarà mai uguale. Un uomo in apixedda si imbatte in uno spazio aperto brullo in un asino ben fermo sulle zampe, e nelle sue convinzioni. È come un manifesto, una elevazione a potenza, il sardo è testardo e l’asino si dice lo sia. Un bel match che avrà il suo esito alla fine del film.
Nessuno scontro, ma un cammino verso il futuro, magari lento ma generoso, perché l’asino non dovrà più faticare e noi abbiamo l’ultima parola. La cultura sarda ha il cavallo nel suo DNA. Ce ne mostra il rapporto Benito Urgu, l’uomo che parla al cavallo e noi lo vediamo, lo sorprendiamo nel film, gli parla, ma non in uno spazio all’aperto, senza ricerca di parole, gli parla come se fosse al balcone, con una testa che si affaccia e l’altra che si protende all’insù, come in una scatola prospettica Giottiana. Chiara citazione, per me ovviamente, non importa se voluta o meno di Romeo e Giulietta nella scena al balcone. Poesia, e anche prosa della vita, non l’amore dichiarato per una sola donna, ma l’amore per tutti i cavalli. In Abruzzo si dice di una persona che ha reazioni sconsiderate “E’ un cane guasto”. Nel film c’è il superamento, l’uomo interiorizza il cane e si fa tutt’uno con esso, indistinguibili l’uno con l’altro, condannati a comportarsi così, guardiani guasti. La realizzazione iconica del travaso, senza come e senza a guisa di. Un detector del senso del ridicolo. La balentìa è una costrizione spesso dimostrativa e non ti puoi sottrarre ai suoi rituali. Solo che nel film sembra che appartenga agli altri, a chi ne rimane invischiato. Tutti ne prendono le distanze, ci si chiama fuori, si giudica, ma attenti, ci siamo sfidati tutti a biliardino, rischiato a zacch’e poni, non essendo capaci a morra, inventando mimesi, e quando ce ne rendiamo conto le superiamo. Non cito gli interpreti perché sembrano scelti a posteriori e non ne sono sicuro. Se mi chiedessero che film mi piacerebbe fare risponderei “L’hanno già fatto”. Si ma dopo? Dopo immagino che gli stessi ne faranno un altro, ne sono sicuro, anzi lo spero.
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