“L’ho ucciso perchè era felice”: la confessione choc dell’omicida di Torino

#Italia Stefano Leo è stato ucciso lo scorso febbraio "perchè sembrava felice, l'ho scelto a caso". Questo l'assurdo movente del 27enne omicida che ha confessato il folle gesto
Voleva uccidere qualcuno e ha scelto Stefano Leo perché aveva più o meno la sua età. Questa la confessione che Said Machaouat, il 27enne che domenica si è consegnato ai carabinieri attribuendosi l’omicidio commesso a Torino in riva al Po il 23 febbraio. “Ho scelto fra le tante persone che passavano di uccidere questo giovane perché si presentava con un’aria felice. E io non sopportavo la sua felicità“, ha detto agli inquirenti.
Il giovane, nel pomeriggio di ieri, poche ore dopo la marcia organizzata dagli amici e dal padre di Stefano Leo per chiedere che si facesse luce sul delitto dopo cinque settimane, si è presentato spontaneamente per riferire sull’omicidio in questura. Non ci sarebbe movente, a quanto dice Machaouat, l’incontro tra i due sarebbe stato del tutto casuale e l’assassino avrebbe agito obnubilato da un raptus.
Il movente dichiarato dal killer è quanto di più sconvolgente si possa immaginare. “Io volevo ammazzare un ragazzo come me , togliergli tutte le promesse che aveva, toglierlo ai suoi figli e ai suoi parenti.“ Un movente che scatena un brivido lungo la schiena” dice il procuratore Paolo Borgna. Il giovane, che ha origini marocchine e cittadinanza italiana, ha spiegato che da tempo, a causa delle sue vicissitudini, non riusciva a uscire dalla depressione e dalla sofferenza. “La cosa peggiore – avrebbe detto a proposito del suo passato – è sapere che il mio bimbo di quattro anni chiama papà l’amico della mia ex compagna”. Nel giro di pochi mesi infatti Said, che era stato condannato per maltrattamenti in famiglia, era stato lasciato dalla compagna, che non gli lasciava più vedere il figlio, aveva perso il lavoro da cuoco ed era finito in mezzo a una strada.

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Dalla Sardegna agli USA: cellule staminali da sangue cordonale salvano un bimbo americano

Una donazione partita da Cagliari ha permesso un trapianto cruciale a Cincinnati.
Un lungo viaggio intercontinentale, da Cagliari a Cincinnati, ha segnato la speranza di vita per un bambino statunitense di appena un anno, affetto da una rara patologia genetica. Protagoniste di questa storia sono un’unità di cellule staminali da sangue cordonale, prelevata in Sardegna e utilizzata con successo per un trapianto salvavita negli Stati Uniti.
Il prelievo, come riporta il quotidiano L’Unione Sarda, è avvenuto lo scorso aprile presso la Banca del Sangue Cordonale (BSC) dell’Arnas Brotzu, guidata dal dottor Mauro Carta. L’unità è stata spedita al Centro Trapianti di Cincinnati, dove è stata impiegata nel trattamento del piccolo paziente. L’intervento, reso possibile grazie alla collaborazione tra la struttura cagliaritana e il registro americano NMDP (National Marrow Donor Program), è stato coordinato con il supporto del Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo (IBMDR).
La donazione, frutto della generosità di una famiglia sarda, ha avuto un esito positivo, senza complicanze rilevanti nel decorso post-operatorio. Un gesto semplice ma straordinario, che ha permesso di trasformare quello che spesso viene scartato – il sangue contenuto nel cordone ombelicale – in una risorsa preziosa per la medicina. Le cellule staminali ematopoietiche contenute nel cordone ombelicale rappresentano oggi una valida opzione per il trattamento di numerose patologie, in particolare nel campo dell’onco-ematologia pediatrica.

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