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“Mio nonno materno, come la sua genìa, fu pastore, e così i miei zii”: l’importanza del latte e delle pecore per la Sardegna

Ognuno faccia la sua parte. Menenio Agrippa non è solo un ricordo di terza elementare.

Un episodio fra i tanti, dipende anche dal momento in cui (ac)cade. Una fabbrica che chiude, in qualche caso una che apre, un mistero di contributi. Gli esiti si perdono nella memoria. L’agonia è una lotta che segna una scomparsa. Manifestazione, chiasso mediatico, empatìa, e la ruota gira. Questa volta no. Perché i pastori non sono mille, o più mila, sono un popolo, una storia, non solo un problema economico più o meno specifico. A loro si uniscono le pecore, il nostro PIL e io mi commuovo senza lacrime alla loro vista. Certe volte mi sono deluso passando in regioni dove non se ne vede una, non spunta un nuraghe, dove quel latte in tetrapack glielo spiegano a scuola che viene munto in Sardegna. Dai pastori. Ce lo ricordano con spregio i tifosi del continente, che sono convinti di essere, magari senza arte né parte, ma discendenti da notai e liberi professionisti.

 

Mio nonno materno, come la sua genìa, fu pastore, e così i miei zii, animali e natura nella loro lingua, cadenza di feste e riti, secondo bisogni e funzioni, paradure e conoscenze. Solo uno di questi miei zii studiò in seminario e divenne prete, seguendo anche lui la vocazione di pastore, d’anime però. Zio Tigheddu, anche lui lo era, e dire che era pastore era sommario: quando il veterinaio, il dottore de li peghi, trovava un caso difficile consigliava un consulto da zio Tigheddu, al quale mancavano solo 42 esami alla laurea. Un patrimonio di cui tutti beneficiano senza firme dal notaio. Come adesso che ci troviamo tutti coinvolti, e non possiamo girare pagina e guardare da un’altra parte, distratti da confezioni di formaggio baratto o latte di marca di latte di dubbi natali. Devo vincere la mia pigrizia. Secondo come, la macchina mi porterà in un altro market.

Siamo legati al problema anche se ci sembra di poterci affrancare, perché se andiamo in un paese il suo umore e quindi il nostro dipende da questo problema che è la vita stessa. Il loro umore sarà il nostro.

Hanno versato e disperso tanto latte e se fa effetto a noi possiamo figurarci a loro, che arrivano a tanto. Molti hanno avvertito il problema, di quel povero latte versato, e su quello hanno commentato, come se in un incidente rimarcassimo i danni a una carrozzeria senza parlare del ricovero degli occupanti. Sì, va bene una notazione, ma poi immaginiamoci un anno di lavoro, fatiche, preoccupazioni, di gente, sicuramente persone che ci sembrano altre, che non troviamo nelle nostre passeggiate in città, nei nostri bar eleganti, nel ristorante cinese. Ma siamo intersecati, e non c’è bisogno di un palombaro dell’anima per scoprirlo. Da ieri starò più attento. Come faccio in un ristorante dove ti portano acqua di sorgenti alpine. Mi è capitato di cambiare. Ristorante.

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