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Giornata della Memoria. La testimonianza: «Mia madre deportata. Per sfamarsi scavava fra le mine»

La Giornata della Memoria 2019. La Sardegna e Cagliari si fermano e ricordano i terribili momenti delle persecuzioni e delle deportazioni che hanno coinvolto milioni di persone, tra cui tanti italiani e sardi. Dall’Isola infatti sono numerosi coloro che finirono, per tante vie e vicissitudini, nei campi di concentramento e per i sopravvissuti è un dolore che ci si porta dietro per tutta la vita. Dall’Istituto Michele Giua di via Montecassino, la testimonianza della professoressa Felicina Pontis, che racconta con grande commozione la tragedia della madre, deportata in un campo di concentramento di Rodi.

Classe 1930, Maria Bonaria Pisu, infatti, si trasferì da Settimo San Pietro nel Dodecaneso (Grecia) nell’agosto 1938, ma dopo l’Armistizio del ’43 iniziò una tragedia sempre più difficile da richiamare alla mente, anche per chi ha solamente sentito raccontare quelle crudeltà: «Mia madre e la sua famiglia si sono trasferite a Rodi, allora italiana, nel 1938 – racconta la 53enne Felicina Pontis, insegnante di religione presso l’Istituto tecnico Industriale Giua di Cagliari – e da allora si sono integrate perfettamente insieme alla comunità locale». Una giovinezza trascorsa a stretto contatto con la cultura greca, dunque, in un connubio armonioso con la popolazione dell’isola. «Dopo l’8 settembre del 1943,  lei adolescente e la sua famiglia vengono rinchiuse, per motivi politici, in un campo di concentramento del luogo». Da allora un anno di prigionia, prima sotto i nazisti e in seguito sotto gli anglosassoni: «Gli inglesi? Peggio addirittura dei tedeschi, sotto certi aspetti».

Un’esperienza terribile, quella di Maria Bonaria Pisu, che ancora oggi sua figlia Felicina custodisce nel suo cuore , grazie ai racconti di sua madre, segnata per sempre dal suo passato: «Diciamo che, a distanza di anni, il campo non è mai stato abbandonato. È stato sempre  parte della sua quotidianità e della mia educazione ». La signora Pisu non ha mai smesso di trasmettere a sua figlia tutti i fatti, i particolari e le sofferenze patite nel lager: «All’alba i soldati facevano irruzione nelle baracche col mitra spianato e verificavano se tutto fosse in ordine». Un dramma ancor più amplificato agli occhi di chi era poco più che bambina e sola: «La famiglia era stata smembrata – spiega la professoressa Pontis – e i componenti erano stati distribuiti in diverse zone del campo. Ha affrontato da sola ogni tipo di situazione». In mezzo, tanti aneddoti di brutalità, quella di cui a volte l’essere umano può essere capace: «Le persone che tentavano di scappare dal campo venivano uccise davanti tutti i presenti nel campo». E naturalmente, a dominare sovrana in un regno di disperazione era la fame, con le razioni di cibo giornaliere oltremodo esigue: «Ci si doveva procacciare da mangiare in qualche modo. Mia madre scavava la terra e cercava radici, miste alle mine antiuomo. Qualcuno saltava in aria». Nel campo si respirava a pieni polmoni la paura, non solo di morire di inedia o uccisi, ma anche per le incursioni aeree, con i loro rigurgiti di bombe.

Una guerra che alla piccola Maria Bonaria ha portato via tutto. Persino, la sua spensieratezza di bambina e le sue amicizie, quelle strette durante il suo periodo rodiota. E nel periodo di prigionia aveva un pensiero fisso nella sua mente: «La sua grande preoccupazione era per la sua amica ebrea Lucia. Ha dovuto abbandonarla e da allora non abbiamo più saputo niente di lei. Questa ragazza le aveva donato un pendolo, che abbiamo dovuto regalare per non dare fastidio nel sonno a mio padre, gravemente malato. Un dolore che porto ancora io».

Dopo il rientro a casa nel febbraio 1946, col solo vestito che aveva addosso, la signora Pisu ha ripreso la sua vita e ha trovato l’amore in un ex militare, reso gravemente invalido dalla guerra. Nel luglio 2000  si è spenta per un infarto: «Il mio rimpianto più grande? Non essere riuscita a ritornare a Rodi con mia madre» .

Felicina Pontis porta sempre con sé la storia di sua madre e quest’anno all’Istituto Giua ha portato avanti una sette giorni sulla Giornata della Memoria, sino vigilia del 27 gennaio. Una mostra su Anna Frank, concessa dall’Ambasciata olandese in Italia, e una conferenza tra professori e studiosi sul tema della deportazione. Un aiuto importante c’è stato da parte degli studenti e dalla tecnologia che ha consentito di “portare” in Aula Magna interessanti ospiti via internet. «La mostra è itinerante e la prossima tappa è Nuoro. Purtroppo i fondi sono pochi e con l’aiuto del digitale, e dei ragazzi, ho organizzato la settimana della Memoria con diversi interventi, tra figli di sopravvissuti e ricercatori. Dobbiamo offrire agli studenti una finestra sul mondo».

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