Al Museo Nivola di Orani, per la prima volta in Italia i disegni di Le Corbusier
Le Corbusier, lezioni di modernismo al Museo Nivola di Orani: per la prima volta in Italia i disegni di una delle figure più influenti dell’architettura contemporanea grazie a un progetto della Fondazione di Sardegna e della Fondazione Nivola. La mostra esplora da un lato l’universo creativo del maestro del modernismo, dall’altro getta luce sul rapporto con Costantino Nivola
Le Corbusier e Nivola si conoscono nel 1946 a New York e tra i due si instaura subito un rapporto di amicizia destinato a durare tutta la sua vita. Lo studio dell’artista più giovane nel Greenwich Village e la sua casa di Long Island, dove Corbu è spesso ospite, offrono un gradito rifugio dalle tensioni che accompagnano il suo lavoro con l’équipe delle Nazioni Unite. Le Corbusier si trova in quell’anno infatti nella metropoli americana in quanto membro del team internazionale di architetti incaricato della progettazione del Palazzo delle Nazioni Unite. L’insegnamento di Corbu è determinante per Nivola, che si accosta al modernismo, abbandonando il suo precedente stile espressionista. I disegni che Le Corbusier porta con sé da Parigi o realizza in America costituiranno per lui un vademecum di spunti e soluzioni formali, ma soprattutto un esempio di rigore progettuale e di libertà creativa. Attraverso quei fogli Nivola ricorderà di aver imparato “le regole del gioco, il più bel gioco che l’uomo abbia mai inventato, il gioco dell’arte”.
Il gioco della forma. Il percorso si apre con disegni e studi della fase purista, nella quale il giovane Le Corbusier mette a punto un sistema grafico sobrio e rigoroso, fondato sulla geometrizzazione di un repertorio di oggetti quotidiani. Il tema della natura morta è il punto di partenza di un’analisi in cui le forme, come parole di un vocabolario, diventano elementi di una grammatica visuale. Molti anni dopo, a New York, Le Corbusier farà della “natura morta” del tavolo da pranzo di Nivola uno strumento attraverso cui insegnare a vedere. Il grande Studio sul tema delle “caffettiere” dalla doppia data “New York 1927-1947” ricollega idealmente i due momenti.
Le metamorfosi della figura. La figura umana, assente nel periodo purista, appare nell’opera di Le Corbusier a partire dalla fine degli anni Venti. Attraverso i disegni raccolti in questa sezione è possibile seguire le trasformazioni della presenza umana dalle geometrie equilibrate e armoniose degli inizi a quelle aggressive e inquietanti dei primi anni Quaranta. I volti e i corpi passano da sembianze riconoscibili a una radicale stilizzazione, a violente e quasi mostruose deformazioni. Il tema della figura a mezzo busto, affrontato già alla fine degli anni Venti, si sviluppa nei decenni successivi in serie diverse come quelle dell’Atleta o dell’Angelo custode.
Il nudo femminile. Il nudo femminile è onnipresente nell’arte del Novecento, tanto tradizionale quanto d’avanguardia. Le Corbusier non fa eccezione, anzi: per lui la donna rappresenta un’autentica ossessione, l’immagine dell’“altro” in rapporto al quale costruire la propria identità. Non meraviglia che il tema emerga con decisione nella sua pittura dopo il viaggio ad Algeri del 1931. È uno sguardo, il suo, che – connotato dal più classico atteggiamento “orientalista” – al tempo stesso distanzia e mitizza. Le sue donne, potenti e voluttuose, sono insieme emanazioni della sacralità della natura e corpi oggetto del desiderio maschile.
Icona. Un posto a sé nella collezione occupa il tema della “donna con la bugia”, da Le Corbusier chiamata anche “Icona”. La serie di disegni, eseguiti a New York, prepara un gruppo di dipinti dallo stesso titolo, tra cui spicca la splendida tela del 1946 anch’essa appartenuta a Nivola, recentemente apparsa in asta da Sotheby’s. La maestosa figura femminile è un ritratto della moglie di Le Corbusier, Yvonne Gallis, la donna più importante della sua vita. Le Corbusier la rappresenta con una candela accesa, simbolo del focolare domestico di cui è custode, ma anche allusione al suo potere sessuale.
Muri parlanti. Nel settembre 1950 Le Corbusier, ancora una volta ospite di Nivola, realizza nella casa di Long Island un murale su due pareti contigue. Il tema della pittura murale aveva cominciato a interessarlo fin dagli anni Trenta; i dipinti di Springs riassumono alcuni temi caratteristici delle ricerche da lui condotte negli anni di guerra. A partire dalla suggestione di oggetti trovati come ciottoli e ossa spolpate (gli “oggetti a reazione poetica”), Corbu aveva sviluppato in scultura e in pittura composizioni di sapore surrealista, battezzate coi nomi di Ozon (dal paese dei Pirenei dove si era rifugiato durante l’occupazione nazista di Parigi), Ubu e Panurge (dai personaggi di Alfred Jarry e di François Rabelais). Questa sezione ospita disegni che preparano il murale e altri legati ai temi che vi sono rappresentati.
La scoperta del sandcasting. Nel 1951, sulla spiaggia di Long Island, Le Corbusier sperimenta sull’esempio di Nivola la tecnica del sandcasting (calco in gesso da una matrice in sabbia), con la quale realizza alcune sculture. Questa esperienza è testimoniata in mostra da due bronzi tratti dai sandcast oggi perduti, uno dei quali raffigura la Main ouverte, la mano aperta simbolo di pace, prosperità e comunione tra gli uomini. La scoperta del sandcasting contribuisce a far maturare in Le Corbusier una diversa concezione delle superfici in cemento e del rapporto tra scultura e architettura, che troverà espressione nei suoi edifici degli anni Cinquanta.
Con Le Corbusier. Lezioni di modernismo, la Fondazione di Sardegna e il museo Nivola celebrano l’incontro cruciale nella vita di Nivola come artista e al tempo stesso propongono al pubblico un aspetto significativo e ancora poco noto dell’opera di Le Corbusier, uno dei giganti dell’architettura e dell’arte del Novecento.
Il Museo Nivola. Il Museo Nivola di Orani (Nuoro), sito al centro di un parco nel cuore della Sardegna, è dedicato all’opera di Costantino Nivola (Orani, 1911 – East Hampton, 1988), figura importante del contesto internazionale incentrato sulla “sintesi delle arti”, l’integrazione tra arti visive e architettura, e personaggio chiave negli scambi culturali tra Italia e Stati Uniti del secondo Novecento. Il museo possiede una collezione permanente di oltre duecento sculture, dipinti e disegni di Nivola e organizza mostre temporanee incentrate in prevalenza sul rapporto fra l’arte, l’architettura e il paesaggio”.
*Foto ⓒ Fondation Le Corbusier by SIAE 2018.
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Sconfigge due tumori e apre il suo negozio. Sara Marceddu: «L’amore per i dolci mi ha salvato la vita»
Prima, il Linfoma di Hodgkin a soli ventinove anni. Poi la Leucemia Promielocitica acuta. Sara Marceddu ha tanti ostacoli da saltare ma il suo sogno riesce a darle sempre la forza: vuole aprire un negozio di dolci. Combatte unghie e denti, sempre supportata dalla famiglia, e riesce: «E' la mia rivincita, la mia rinascita».
«La mia dolce nonna mi ha insegnato che l’amore per i dolci ti salva la vita.»
Ci sono storie che infondono coraggio solo al leggerle. Sono quelle storie dove la vita ti mette davanti non uno, non due, ma mille ostacoli ma la passione e la tenacia sono più forti di qualunque caduta. Sono quelle storie dove il protagonista – in questo caso la protagonista – si rialza, nonostante tutto, anche con le ginocchia sbucciate ma senza perdersi d’animo mai. Perché ci crede, nel suo sogno, ci crede così fermamente che è questione di vita o di morte. E sebbene questo modo di dire sia usato spesso per cose meno importanti, qui davvero assume un significato particolare, ancor più intenso: è stato l’amore per i dolci e la perseveranza nel vedere avverato il suo sogno a salvare la vita di Sara Marceddu, 45enne di Monastir.
Ma facciamo un passo indietro. Sara ha ventinove anni, è sposata e ha una bambina. Nessuna nuvola sembra incombere sulla sua testa. Ha avuto una bella infanzia ed è felice. Quando le diagnosticano il Linfoma di Hodgkin ha soli ventinove anni. «In un primo momento,» racconta «vengo valutata alla Cittadella Universitaria, subito però parto per Milano e al Centro Tumori vengo seguita in tutto e per tutto.»
Sara fa la chemio ogni 15 giorni ma rientra sempre in giornata: a casa ha una bimba di soli due anni che la aspetta. Ma quando arriva il turno della radioterapia la scelta è poca: poiché Sara risulta radioattiva, non può veder la sua bimba per un mese, restando a Milano per le cure. «Il mio incubo termina dopo 5 anni, il Signore vuole che io rimanga subito incinta di un maschietto che nascerà sano. Per me è stato un miracolo dopo le numerose cure fatte.» Parte da lì una passione che sarà determinante per i suoi anni futuri.
Sara Marceddu decide di dedicarsi ai dolci, suoi compagni fin dall’infanzia grazie alla nonna che – bravissima soprattutto in quelli sardi – la voleva al suo fianco, pronta a trasmettere un’arte bellissima. «È stata un’ottima maestra,» racconta la 45enne «a volte anche severa: ci teneva troppo che noi apprendessimo il suo amore per i dolci. E questo amore mi ha aiutato, è stata la mia medicina.»
Nel frattempo, dopo la nascita del suo secondo bimbo, inizia a fare corsi. «Ero completamente innamorata dei biscotti in ghiaccia reale, tanto da voler creare anche le formine taglia biscotto.» L’incubo tuttavia – ahimè – non è ancora finito: quando il più piccolo ha 18 mesi, Sara si sente poco bene e la risposta alle analisi e alle visite è infausta.
«Mi viene diagnosticata la Leucemia Promielocitica acuta. In un primo momento mi sento mancare l’aria, ma poi lotto con tutte le mie forze. La leucemia non era il linfoma, era molto più aggressiva e mi faceva stare molto più male, ma io a casa avevo chi mi aspettava: mio marito, che non mi ha lasciato un secondo, i miei figli, la mia adorata sorella, una nipotina appena nata e i miei genitori. Non potevo mollare, non potevo permettere che mia madre piangesse giorno e notte perché mi vedeva atterrata, senza forze… e così ho lottato.»
Sara combatte, unghie e denti. Va a fare la chemio ogni santo giorno, si reca senza compagnia alcuna perché sostiene di poter fare tutto da sola, nonostante la delicatezza del momento. Nei momenti in cui sta meglio, sono i dolci a farle compagnia, a darle conforto, forza, coraggio. Dopo qualche anno, quando la situazione di salute è più stabile, decide addirittura di fare dei corsi con Ernest Knam e con altri pasticceri. «Assaggio più da vicino quel mondo che tanto mi appassionava, fino a decidere di rendere il mio sogno realtà: quello che io definivo la mia rinascita, la mia rivincita.»
Sara trova un locale a Cagliari, in un posto che ama. Lo guarda, si innamora sempre di più e lo riguarda ancora. Alla fine, prende contatto con i proprietari e firma il contratto. È un momento bellissimo, un salto nell’arcobaleno. La ragazza sta realizzando quel che desidera ma c’è chi vuole che prima si riprenda del tutto: suo marito infatti non è per nulla d’accordo.
«Diceva che dovevo riposarmi, godermi la famiglia ma io niente… ero veramente testarda. Il giorno dopo l’agognata firma sto così tanto male da vedere tutto infrangersi come uno specchio rotto, vedevo i pezzi cadere uno dopo l’altro, un incubo: recidiva di Leucemia Promielocitica acuta.» Per lei è ormai tutto finito. È arrabbiata, anzi, furiosa con tutti. Non vuole nemmeno più sentire quella parola: bakery. L’universo le gioca un altro scherzo crudele e lei pensa di mollare. «Mi sono curata, sono caduta a tal punto che ho veramente pensato di non farcela, ho affrontato un trapianto che mi ha devastata… ma grazie al Signore tutto è andato per il meglio.»
Quando torna a casa, il sogno esplode nuovamente nel suo petto: era solo addormentato un pochino. Bussa, come racconta, bussa più forte che mai finché un giorno, nel suo paese, vede un locale e una lampadina si accende. Sono trascorsi solo quattro mesi dal trapianto, quasi non riesce nemmeno a camminare ma lei è animata da una passione travolgente, da un fuoco che arde dentro di lei, quindi parla con la famiglia.
«Come potrete immaginare, fu un NO GIGANTE. “Tu sei matta, dove vuoi andare?” Pur di scoraggiarmi in questa impresa, qualcuno mi ha detto che avrei fallito. Qualcun altro che era solo un mio capriccio. L’unica persona che ha creduto in me era mia sorella che diceva di lasciarmi fare. Lei sapeva! Lei, il mio sangue, capiva che era la mia cura…»
La donna convince il marito che, spaventatissimo, vorrebbe solo che lei restasse tranquilla, dicendogli che la sua guarigione dipende dalla realizzazione di questo suo grandissimo desiderio. «Ho iniziato volendo fare solo un laboratorio ma, mano a mano che procedevano i lavori, ho realizzato la Beautiful Bakery proprio come l’avrei fatta a Cagliari. In pieno Covid, dopo pochi mesi, sono riuscita ad aprire. Tutti pensavano fossi pazza ad aprire un negozio in piena pandemia, ma a me la pandemia non ha mai fatto paura…»
Apre e accoglie tutti: «Volevo che chiunque entrasse respirasse amore e gioia. Non ho aperto pensando agli utili, a me rendeva felice pagare le mie dipendenti, le spese e vivere la mia rinascita.» Dopo qualche mese, una chiusura di qualche mese a causa di controlli mandati rischia di rovinare tutto di nuovo ma da questa storia si impara una lezione importante: Sara Marceddu non si fa fermare da nessuno, quindi non si arrende. «Ho studiato al minimo dettaglio il modo per poter riaprire senza che nessuno fiatasse. Dio non mi ha abbandonata nemmeno questa volta e nonostante la grossa perdita io ho un marito che mi ama da morire e mi ha appoggiata tantissimo e aiutata come non mai. Lui ha visto che il mio locale mi ha guarita e non ha permesso che mi facessero del male.»
Quindi, come era da immaginare…«Riapro più forte di prima perché il mio locale tutto rosa esplode e tutti vengono da ogni parte della Sardegna: per me è stata una rivincita un abbraccio enorme. Mi ritengo una persona davvero fortunata, amo il mio lavoro e penso di avere tantissimo da imparare ma la cosa certa è che metto tutto il mio amore e tanta umiltà in quello che faccio. Ho tanta voglia di imparare e continuo a formarmi sempre, sia come persona che come pasticcera. Ci tengo tanto a ringraziare la mia famiglia per tutto l’amore che mi dà e per essere sempre al mio fianco, le ragazze del mio team che sono parte fondamentale di Beautiful Bakery, la mia mamma che lavora con me e non mi lascia un attimo, mia sorella che è la mia più grande sostenitrice e la mia dolce nonna che mi ha insegnato che l’amore per i dolci ti salva la vita.»
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