Uccide il figlio di tre mesi buttandolo a terra: “Avevo la mente oscurata”
La donna, una 26enne di Catania, pare soffrisse di depressione post partum. Il bambino era stato ricoverato d'urgenza in ospedale dove è morto il giorno dopo per le ferite riportate alla testa
Catania: pare soffrisse di forte depressione post partum la 26enne arrestata dalla polizia a Catania con l’accusa di avere ucciso il proprio figlio di tre mesi lanciandolo a terra. Il neonato è morto in ospedale il 15 novembre, il giorno dopo il ricovero per le ferite riportate alla testa. La polizia ha avviato le indagini dopo che i sanitari insospettiti dalle ferite avevano fatto partire i controlli. La donna è accusata di omicidio aggravato dal fatto di avere agito contro il discendente.
Come riporta TgCom, in un primo momento la madre aveva riferito che il figlio “si era fatto male cadendole accidentalmente dalle braccia a causa di una spinta che si era dato da solo”. Successivamente, però, attraverso l’audizione, da parte della Procura e della polizia, di tutti i soggetti intervenuti, e della stessa 26enne sentita alla presenza del difensore di fiducia, si accertava che la caduta del bambino non era stata accidentale bensì che era stata la madre dello stesso a scaraventarlo a terra con forza.
Avevo la “mente oscurata” e “non so spiegare cosa è successo”, ma sicuramente “non volevo uccidere mio figlio, non ho mai pensato di ucciderlo” perché “io lo amavo”. Così, nell’interrogatorio davanti ai pm, la 26enne ha raccontato quei momenti. Ai magistrati, dice il suo legale, l’avvocato Luigi Zinno, la donna ha detto di “essersi sentita male” e che la sua intenzione era di “gettarlo sul letto e non per terra”. L’omicidio è stato commesso in casa della nonna paterna della 26enne che non è sposata e che al figlio aveva dato il proprio cognome. E’ stata lei stessa, rivela il legale, a chiamare aiuto. Sono arrivati subito sua nonna, che ha 85 anni, e suo padre e a loro ha detto che il piccolo gli era scivolato dalla mani ed era finito a terra. “Quel giorno stava male – aggiunge il penalista – e aveva chiamato suo padre, che era al lavoro, per dirgli se poteva tornare a casa. La signora aveva avuto un’infanzia dolorosa per la morte della madre, che ha perso quando aveva 11 anni. Quando è rimasta incinta è andata a vivere con la nonna”. Secondo l’avvocato, la 26enne ha sofferto di “una grave forma di depressione post partum, che ha aggravato la sua condizione di persona fragile psicologicamente”. Per questo il padre le aveva fissato degli incontri con specialisti, ma lei non sarebbe andata.
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Accadde oggi: 15 giugno 1997, a Napoli il Cagliari perde lo spareggio per la A contro il Piacenza
Sono passati 24 anni da quel maledetto 15 giugno (all'interno il VIDEO della partita)
Ci sono sconfitte che non si dimenticano. Quella dei rossoblù contro il Piacenza al San Paolo di Napoli è una di quelle. Sono passati 24 anni da quel maledetto 15 giugno, ma ancora la sconfitta per tre a uno contro gli emiliani brucia nei ricordi dei tifosi sardi.
Doveva essere una festa, e invece fu un incubo. Dall’Isola ci fu un vero e proprio esodo di massa: in ventimila decisero di seguire la squadra di Mazzone che conquistò la possibilità di giocarsi la permanenza in Serie A al termine di una rimonta sul Piacenza che ebbe dell’incredibile.
Che gli dei del calcio avrebbero voltato le spalle a Tovalieri e compagni fu chiaro fin dall’arrivo dei tifosi sardi a Napoli. Una vera e propria guerriglia urbana, sassi e bottiglie contro i pullman che trasportavano i sostenitori rossoblù allo stadio da parte degli ultras partenopei, che quel giorno scelsero di schierarsi a fianco dei piacentini dando vita ad una rivalità che dura ancora oggi. Non si trattò soltanto di scontri fra hooligans made in Italy, ma di agguati veri e propri ai danni di famiglie e tifosi pacifici provenienti dalla Sardegna.
I novanta minuti, poi, furono il coltello nella piaga, il sale nelle ferite di quella brutta mattinata. L’incubo della retrocessione diventò realtà. Una sconfitta senza appello, con una buona dose di sfortuna e un Taibi, allora fra i pali del Piacenza, che quel giorno sembrava insuperabile.
La gara terminò tre a uno per il Piacenza. Al vantaggio dopo solo sette minuti del “toro di Sora” Luiso, seguì il raddoppio al 39′ su una sfortunata deviazione di Berretta sulla violenta punizione dell’ex Piovani. Il Cagliari entrò in bambola dopo il due a zero, e due minuti dopo fu il portiere rossoblù Sterchele a tenere accesa la speranza parando un rigore a Valtolina.
Nella ripresa, un boato proveniente dalla curva dei tifosi del Cagliari accompagnò le speranza di rimonta, riaccese dal gol del “Cobra” Tovalieri che riapre la partita. Il Cagliari, anziché trovare le forze per agguantare il pari e aggrapparsi con le unghie alla Serie A, si spegne, stremato dal caldo e dallo sforzo. Il colpo del ko fu ancora di Luiso a pochi minuti dal termine.
Una giornata da dimenticare ma che nessuno ha dimenticato, e l’immagine di Tovalieri, inginocchiato in lacrime davanti alla curva dei tifosi rossoblù, fu l’emblema di quella triste giornata.
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