Bari: nasce malato e i genitori lo abbandonano in ospedale
Il piccolo, un mese e mezzo di vita, è nato con una malattia metabolica e un problema cardiaco. I genitori, qualche giorno fa, hanno varcato le porte dell'ospedale e non sono più tornati
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Una terribile vicenda che arriva da Bari. Un bambino di 48 giorni di nazionalità romena è stato abbandonato dalla mamma nell’ospedale Giovanni XXIII di Bari, dove era ricoverato da alcuni giorni per una malattia metabolica e problemi cardiaci diagnosticati fin dalla nascita. Come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno, immediatamente è partita la gara per la solidarietà, con medici e infermieri che fanno doppi turni per non lasciarlo solo e alcuni volontari che si sono attivati per portargli abiti, pannolini e altro.
A quanto si apprende il bambino è nato a Taranto il 24 settembre e dopo pochi giorni è stato trasferito nell’ospedale pediatrico di Bari. Dopo i primi accertamenti i medici gli hanno diagnosticato una patologia metabolica, la leucinosi, e un problema cardiaco. Il piccolo è stato quindi trasferito nel reparto di malattie metaboliche del Giovanni XXIII dove si trova attualmente ricoverato. La mamma è stata con lui fino a qualche giorno fa, ma poi ha lasciato l’ospedale e non vi ha più fatto ritorno. L’ospedale ha provveduto subito a segnalare l’accaduto alle autorità competenti, forze dell’ordine, servizi sociali e Tribunale per i Minorenni.
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“Fermiamoci ad Abbasanta per un caffè”, la sosta lungo la SS 131 che per noi sardi era molto più che una pausa

Abbasanta, un piccolo simbolo di quella Sardegna che si muoveva più lentamente, ma forse si incontrava di più.
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Quante volte lo abbiamo detto. Quante volte lo abbiamo sentito dire. Una frase semplice, quasi banale, eppure per ogni sardo è una piccola madeleine della memoria: basta pronunciarla per evocare viaggi lunghi, incontri inattesi, mattine d’estate e rientri al tramonto. Per chi non è isolano, forse, quelle parole non dicono molto. Per noi, invece, racchiudono un intero modo di vivere la strada.
Abbasanta, certo, è un paese dell’Oristanese. Ma per generazioni di viaggiatori è stata soprattutto un luogo di passaggio: il punto in cui la statale 131 — la dorsale che taglia la Sardegna da sud a nord — offriva finalmente una sosta. Niente autostrade, niente aree di servizio distribuite a intervalli regolari. Solo quel bar, quella pompa di benzina e quella promessa di ristoro nel bel mezzo dell’Isola.
Fino almeno a venticinque anni fa, quel caffè ad Abbasanta è stato un rito condiviso. Che si salisse da Cagliari verso il nord o si scendesse da Sassari o Olbia verso il sud, il punto di sosta era sempre lui, immobile e fidato. Un autogrill primordiale, sì, ma per noi molto di più: un crocevia di vite. Lì si incontravano amici per caso, ci si sorprendeva nel vedere un parente diretto chissà dove, si radunavano i compagni di viaggio quando si partiva in più auto. Prima che Google Maps ci dicesse dove andare e quanto mancasse all’arrivo, Abbasanta era il nostro GPS emotivo: ci si fermava, si controllava la strada, si scambiavano racconti, ci si riconnetteva con il mondo.
Oggi è diventata una delle tante aree di servizio — poche, in verità, rispetto al panorama nazionale — in una Sardegna che nel 2025 ancora attende la sua prima autostrada. E forse un giorno arriverà davvero. Ma nulla potrà cancellare ciò che Abbasanta ha rappresentato: un luogo del cuore, una pausa obbligata che profumava di caffè, benzina e appartenenza. Un piccolo simbolo di quella Sardegna che si muoveva più lentamente, ma forse si incontrava di più. Perché ci sono posti che non sono solo luoghi: sono memoria. E Abbasanta, per i sardi, resterà sempre così.
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