È un luogo accogliente, la Locanda, accogliente e tranquillo la mattina alle 11. Una piccola oasi fresca e serena vicino alla movimentata viale Trieste. Anche la sera pare essere altrettanto tranquillo, secondo le parole di Giuditta Cavallini, responsabile di tutte le attività che si svolgono al suo interno.
Giuditta Cavallini ci accoglie con aria rilassata e ci racconta la storia di questo bellissimo progetto mentre Carlotta e Roberto, i due camerieri, preparano con calma la sala.
Da cosa nasce l’idea di creare questa piccola oasi nel centro di Cagliari?
La Locanda è un progetto della Fondazione Domus de Luna e nasce per occuparsi di giovani che, dopo aver compiuto il diciottesimo anno e aver terminato un percorso all’interno di comunità di recupero e/o case di cura, non avendo una famiglia o un punto d’appoggio, venivano ributtati nella società senza nessun tipo di progetto per il futuro.
L’idea di un’attività del genere prende forma quindi nel lontano 2010, non con fini commerciali ma con lo scopo di offrire un percorso di formazione a ragazzi con delle problematiche, sia di tipo sociale sia di tipo psico-fisico. Una volta trovato l’immobile, si pensa anche a che volto potesse avere. È così che nel 2011 apre la Locanda dei buoni e cattivi, ristorante e b&b.
A chi vi riferite quando parlate di ‘buoni e i cattivi’?
Quando abbiamo aperto, l’idea di partenza era di rivolgerci al mondo del penale, quindi a ragazzi che avessero commesso errori in precedenza e che per questo venivano considerati ‘cattivi’ dalla società. Noi volevamo dare proprio il messaggio contrario, ovvero che a volte, quando si ha l’opportunità giusta, ci si può redimere. È solo col tempo che abbiamo poi deciso di abbracciare un bacino più ampio di persone, accogliendo anche ragazzi con delle disabilità fisiche.
In totale di quante persone si compone ora il vostro team? Qual è la loro provenienza e qual è la fascia d’età?
In questo momento in totale siamo 18, di cui un cuoco professionista, 4 persone dello staff, e tutti gli altri i ragazzi che vengono inseriti pian piano in seguito a un percorso di formazione sul campo di 6 mesi (lavapiatti, aiuto cuoco, camerieri del ristorante e del b&b). Nessuno di loro aveva questo tipo di professionalità prima di affacciarsi qui, per questo abbiamo ritenuto necessario un periodo di formazione che, una volta terminato, se andato a buon fine, prevede la loro assunzione.
Le provenienze sono varie, come già detto sono tutti ragazzi o in uscita da comunità di accoglienza, o segnalatici da altre fonti, vittime di violenza, allontanati dalle famiglie di origine, persone a cui vogliamo dare la possibilità di pagarsi un affitto, di poter pensare a un progetto per il futuro, e ragazzi con disabilità. Ormai cinque o sei di loro costituiscono il nocciolo duro dello staff, sono qui da quando l’attività è aperta, per gli altri il ricambio è continuo.
L’età dei ragazzi normalmente va dai 17 ai 30 anni, sono persone molto molto giovani.
Che tipo di rapporto esiste all’interno del team?
Essendo a contatto quotidianamente possiamo definirci come una grande famiglia, anche perché molti dei ragazzi spesso una famiglia non ce l’hanno, o se ce l’hanno ha delle problematiche molto gravi, quindi nel momento in cui gli viene assicurata una presenza solida, un po’ d’affetto e un lavoro, si crea un legame che va oltre l’attività lavorativa. Certo i momenti difficili esistono, ma in generale si creano degli ottimi rapporti.
E con i clienti? Come vi rapportate? Qual è la tipologia di cliente che frequenta la Locanda?
La storia della Locanda viene sempre raccontata, solitamente mettiamo nei tavoli dei libretti che raccontano il progetto e quelli più curiosi fanno qualche domanda in più. Il nostro desiderio, e il nostro scopo principale però, è offrire sempre la massima professionalità, noi vogliamo che la gente venga qui prima di tutto per la qualità del ristorante e per la professionalità del personale, che si avvicini a noi perché si sta bene e perché si mangia bene, per scoprire poi solo dopo che abbiamo anche qualcosa in più da raccontare, che è poi quello che ci distingue dagli altri.
Come tipologia di cliente abbiamo prevalentemente trasfertisti che frequentano il b&b, o turisti nel periodo estivo. Il ristorante invece la mattina è frequentato soprattutto da lavoratori, mentre la sera e il fine settimana la fascia d’età è medio alta, dai 40 anni in su.
Effettivamente il vostro ristorante è notevolmente rinomato e conosciuto, sembra essere il vostro punto forte, giusto?
Si effettivamente nel corso degli anni abbiamo ottenuto una serie di riconoscimenti, spesso inaspettati, rispetto al lavoro che facciamo, in particolare da parte del Gambero Rosso, Slow Food, Touring Club, che ci hanno dato tanta soddisfazione e voglia di andare avanti.
Qual è invece il vostro rapporto con il famoso chef stellato Roberto Petza?
All’apertura del locale siamo andati noi a bussare alla sua porta per raccontargli del nostro progetto e coinvolgerlo nella realizzazione del ristorante, in particolare per avere consigli su che tipo di cucina proporre, che prodotti usare e a che tipo di qualità puntare. È stato lui a suggerirci di puntare al massimo della qualità e della territorialità sempre. Ci ha seguito per i primi due anni, aiutandoci nella formazione del personale, proponendo dei corsi di cucina condotti da lui a Siddi, per poi allontanarsi pian piano e lasciarci camminare con le nostre stesse gambe.
A proposito dei prodotti, i vostri fornitori sono prevalentemente locali e/o imprese sociali come voi, per esempio La Collina, Libera Terra?
Si perché nella logica di quello che facciamo cerchiamo sempre di supportare, sponsorizzare e appoggiarci a chi lavora come noi. È chiaro che piuttosto che rivolgerci alla grande distribuzione, che lavora sullo sfruttamento del territorio, preferiamo comprare da persone che sposano i nostri valori e ci sono vicine come tipologia di impresa. Per esempio il pane e la pasta sono tutti fatti in casa, le farine che utilizziamo provengono dal mulino di Settimo San Pietro, un’attività a conduzione familiare dove viene utilizzata ancora la vecchia macina di pietra. Insomma cerchiamo prodotti di ottima qualità, possibilmente, a km 0 e che abbiano una storia da raccontare.
Intervista di Giudita Melis
© RIPRODUZIONE RISERVATA