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Castello “culla di religioni”. Ora anche gli ebrei hanno una casa

Dopo più di cinque secoli dalla loro cacciata, gli ebrei ritrovano casa tra le mura del quartiere cagliaritano di Castello. L’associazione Chenàbura-Sardos pro Israele, presieduta da Mario Carboni, dallo scorso maggio 2018 ha infatti scelto come sede il civico 88 della via Lamarmora e dall’inizio dell’estate ha dato modo agli israeliti del Cagliaritano e dell’Isola di riunirsi per le funzioni culturali e religiose principali.

Un’associazione, Chenàbura, in sinergia con la più grande Aleph Yod-Sardegna Ebraica, come spiega Daniele, un giovanissimo ebreo cagliaritano, in poche pillole e con orgoglio: «Innanzitutto parlare di comunità e di sinagoga è eccessivo. Perché si possa avere un minian e un tempio di preghiera è necessario riunirsi almeno in un numero minimo di dieci adulti. In questa sala dove ci riuniamo regolarmente mancano alcuni elementi costituivi fondamentali, come l’altare, il rotolo della Torah e ovviamente un rabbino». Un’ “aspirante comunità” si potrebbe dire, dunque, che ogni venerdì e sabato chiama a raccolta i suoi fedeli: «Qui riusciamo a riunirci per alcune funzioni e feste religiose principali, come la Pasqua. Ma il nostro obiettivo è arrivare al numero minimo di dieci perché si possano celebrare tutte quelle solenni» spiega Daniele. Un obiettivo ambizioso, visto e considerato che gli ebrei nel Cagliaritano si contano sulle dita di due mani, senza contare coloro che non sono osservanti. Ma la scelta di eleggere domicilio tra le tre torri non è casuale e via Lamarmora, frequentata dai castellani e battuta avanti e indietro da un numero sempre nutrito di turisti, può essere un’ottima vetrina e un modo efficace di mettersi in luce.

Con la presenza di cattolici, ortodossi ed ebrei, Castello punta a diventare un esempio di dialogo multireligioso. Ma a differenza dei fedeli della chiesa di via Duomo, provenienti totalmente, escludendo qualche eccezione, dall’est Europa e dei musulmani, oltremodo presenti nel tessuto sociale del capoluogo e prevalentemente africani e maghrebini, gli ebrei costituiscono un caso di “minoranza in casa propria”. E dunque le chiacchiere “preghino a casa loro” stanno a zero. «Gli ebrei sono sempre stati una minoranza – spiega Daniele – e diciamo che ci siamo un po’ abituati. Ma il nostro obiettivo non è puntare ai grandi numeri. Noi vogliamo farci vedere, vogliamo dire a tutti che ci siamo e siamo qui. Le porte sono aperte a tutti, anche a i non-ebrei».

Il dialogo quindi è la parola d’ordine. Anche con chi mantiene una certa diffidenza e si trincera dietro idee e concetti obsoleti e, per la maggior parte dei casi, errati. Sia chiaro, forme di antisemitismo, così come studiate nei libri di storia, sono fortunatamente inesistenti, ma alla luce della questione arabo-palestinese qualcuno non sembra simpatizzare per la stella di Davide: «Nei nostri confronti non c’è mai stato alcun episodio di questo tipo – spiega Daniele – e a me è capitato di girare per Cagliari con la kippah in testa e nessuno mi ha mai insultato. Può capitare che in occasione del venticinque aprile qualcuno dei partecipanti alle manifestazioni, pro palestinesi, si opponga a noi. Ma i musulmani e l’Islam non c’entrano niente. È solo gente che ha una visione distorta».

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