(VIDEO) Migranti: “Hotspot in Libia? Rifiutiamo categoricamente”. Il vicepresidente libico gela Salvini

«Rifiutiamo categoricamente la proposta circolata in ambito europeo di realizzare campi per migranti in Libia: non è consentito dalla legge libica» ha detto il numero due di Tripoli durante la conferenza stampa congiunta con il capo del Viminale.
Il ministro degli Interni Matteo Salvini si trova oggi a Tripoli, in Libia, per parlare di immigrazione con il governo libico. Al centro dell’incontro l’idea di Salvini di dare vita a un hotspot migranti nel Paese maghrebino. Su tale ipotesi però, le risposte del vicepresidente libico Ahmed Maiteeq non sono state però particolarmente accondiscendenti.
«Rifiutiamo categoricamente la proposta circolata in ambito europeo di realizzare campi per migranti in Libia: non è consentito dalla legge libica» ha detto il numero due di Tripoli durante la conferenza stampa congiunta con il capo del Viminale.
Per Salvini di contro gli hotspot in Italia «sarebbero un problema per l’Italia e per la Libia stessa perché i flussi della morte non verrebbero interrotti». «Noi abbiamo proposto centri di accoglienza posti ai confini a Sud della Libia – ha spiegato il segretario della Lega in un tweet – per evitare che anche Tripoli diventi un imbuto, come l’Italia».
In diretta da Tripoli conferenza stampa con il vicepremier libico Ahmed Maitig.
Posted by Matteo Salvini on Monday, 25 June 2018
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Sardegna, mozione per la sospensione dei rapporti con Israele: il centrosinistra chiede una presa di posizione netta

In Consiglio regionale è stata depositata una mozione che chiede ufficialmente alla Regione Sardegna di interrompere ogni rapporto commerciale, istituzionale e di cooperazione con lo Stato di Israele, almeno fino a quando continueranno le gravi violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Sardegna, mozione per la sospensione dei rapporti con Israele: il centrosinistra chiede una presa di posizione netta.
In Consiglio regionale è stata depositata una mozione che chiede ufficialmente alla Regione Sardegna di interrompere ogni rapporto commerciale, istituzionale e di cooperazione con lo Stato di Israele, almeno fino a quando continueranno le gravi violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Il documento, presentato da Sinistra Futura e sostenuto dall’intera maggioranza di centrosinistra – Pd, M5s, Progressisti, Alleanza Rossoverdi, Uniti per Todde, Orizzonte Comune – segue l’esempio delle risoluzioni già approvate in Puglia e in Emilia Romagna, ed è ora in attesa di essere calendarizzato per la discussione in Aula. La mozione sottolinea come la situazione umanitaria nei territori palestinesi sia ulteriormente peggiorata negli ultimi mesi, con un numero di vittime che ha superato le 60.000 persone e oltre 120.000 feriti, tra cui migliaia di bambini. In una nota ufficiale, Sinistra Futura afferma che la Sardegna, per la sua storia, la sua posizione geografica e la sua tradizione di accoglienza, non può restare in silenzio di fronte a un tale scenario e deve contribuire attivamente alla costruzione di una prospettiva di pace. Il testo impegna la presidente della Regione, Alessandra Todde, a condannare apertamente le violazioni del diritto internazionale attribuite allo Stato di Israele, in particolare l’impiego di fame, malattie e blocco degli aiuti umanitari come strumenti di guerra contro la popolazione civile palestinese. Si chiede inoltre la sospensione immediata di ogni forma di collaborazione tra la Regione Sardegna – incluse agenzie, enti strumentali, aziende partecipate, università e centri di ricerca – e lo Stato di Israele. La mozione propone anche che la Sardegna si impegni a sostenere ogni iniziativa diplomatica per un cessate il fuoco permanente a Gaza e per la promozione di una conferenza di pace nel Mediterraneo, candidando eventualmente l’isola come sede di tale evento. Infine, il documento chiede il ripristino dei fondi regionali destinati alla cooperazione internazionale, con una linea di intervento specifica dedicata alla Palestina, e l’inserimento nei bandi pubblici di criteri che escludano l’acquisto di beni o servizi provenienti da aziende coinvolte nella violazione dei diritti umani nei territori occupati.

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