“La Pizzetta d’Oro”, quando una pizza diventa patrimonio cittadino. Storia di un mito cagliaritano

Niente marketing, nessun restyling, solo tanto, tantissimo passaparola e moltissima conoscenza dei propri mezzi. E se dal 1972, nulla è cambiato a parte la folla di persone che ogni giorno si mette in fila per deliziarsi con le loro pizze da passeggio, è probabile che le lezioni di marketing debbano tenerle loro. Parla Antonella Cogotti, figlia dei fondatori della mitica e inimitabile "Pizzetta d'Oro", e racconta la storia di una delle attività più amate dai cagliaritani da generazioni
Ci sono posti che per molti cittadini cagliaritani sono sacri. Alcuni di essi lo diventano per un determinato motivo, per una situazione particolare venutasi a creare proprio in quel determinato posto. Ci sono posti conosciuti e altri no, ci sono luoghi di culto, vie storiche, monumenti, capolavori della natura. La sella del Diavolo, per esempio: un posto che se anche non sei di Cagliari sai esattamente dove è, che forma ha, che storia racconta. Il cagliaritano, o l’abitante dei dintorni, è solitamente un tipo di persona perdutamente innamorato della sua patria, affezionato ai suoi luoghi, geloso delle proprie origini.
Il cagliaritano è un tipo nostalgico, uno che vuole sapere tutto della Cagliari che non c’è più, la Cagliari vissuta dai suoi genitori o addirittura dai suoi nonni. Cagliari negli anni è cambiata tanto, ha mantenuto intatto il suo fascino e il suo senso di patriottismo tra la gente, evolvendosi in una piccola metropoli. La metropolitana leggera ha preso il posto dei trenini mono-vagone, che a loro volta avevano preso il posto dei vecchi tram. Insomma, le rotaie cagliaritane hanno visto passare sopra di loro tre diverse generazione di mezzi a motore, dove a loro volta ne hanno usufruito tre diverse generazioni di persone.
A parte le rotaie, sono pochi gli esercizi che sono riusciti a farsi conoscere, amare e desiderare da tre generazioni differenti. I vecchi cinema non ci sono più, i vecchi barbieri, salvo qualche piccola eccezione, non ci sono più, i vecchi bar, quelli dove ci si trovava per esempio per giocare a biliardo, non ci sono più. Ciò che però è rimasto, ed è conosciuto da chiunque, è un qualcosa di veramente autentico: niente marketing, nessun restyling, solo tanto, tantissimo passaparola e tantissima conoscenza dei propri mezzi. E se dal 1972, nulla è cambiato a parte la folla di persone che ogni giorno si mette in fila per deliziarsi con le loro pizze da passeggio, è probabile che le lezioni di marketing debbano tenerle loro.
Alla fine di via Scano, in via della Pineta, in piazzetta Mascia, fate un po’ voi. Collocatela dove e come volete, tanto sappiamo tutti di cosa stiamo parlando: La Pizzetta D’Oro. Un nome semplice, originale, inconfondibile. Un nome che racchiude quasi mezzo secolo di storia di Cagliari. Sempre lo stesso posto, sempre lo stesso bancone, sempre la stessa conduzione, quella di famiglia. Nessuna pizza troppo particolare, le cose complicate non fanno per loro. Solo gusti semplici, niente di troppo sofisticato. Ce ne ha parlato Antonella Cogotti, figlia di signora Assunta e di signor Angelo, storici fondatori di quello che è, ancora oggi, un vero e proprio luogo d’incontro cagliaritano.
Antonella, quando è cominciata questa meravigliosa e lunga avventura?
Tutto è cominciato nel 1972, quando i miei genitori alzarono la serranda per la prima volta. Siamo sempre stati lì, in via della Pineta. Le pizzerie a Cagliari ovviamente c’erano già, e miei genitori optarono per un’idea nuova e fino a quel momento inedita: fare su teglia, in forno elettrico, delle piccole pizzette. L’idea spopolò immediatamente dato che era appunto una novità assoluta, e il nome “Pizzetta d’oro” deriva quindi da quella piccola pizza mai vista prima. Possiamo dire di essere stati i primi a portare questo prodotto nel cagliaritano, e fortunatamente ha avuto un grandissimo successo.
Siete una delle pizzerie più conosciute di Cagliari, ciò nonostante non avete mai voluto inserire nel vostro listino pizze troppo sofisticate, rimanendo prevalentemente nel classico. Come mai questa scelta?
La pizza che vendiamo con più frequenza è la margherita. Siamo del parere che, venendo da noi, il cliente oltre i classici gusti non voglia andare. Ovviamente ci sono anche altre pizze, tipo capperi e acciughe o wurstel e cipolla, ma proporre ora pizze troppo particolari non avrebbe senso. Il cliente sa già cosa offre la casa e non abbiamo richieste troppo specifiche. Ci siamo adattati ai vegani, alle intolleranze di vario genere, inserendo prodotti di verdura, qualora il cliente non gradisca o proprio non possa mangiare pomodoro e mozzarella.
Ciò che sorprende è la costanza con la quale lavorate. Dalle 18 in poi c’è un grande via vai di persone, in tutti i giorni della settimana. A cosa attribuite questa fiducia che il cliente ripone nei vostri confronti?
Sicuramente il cliente trova in noi un posto sicuro, perché negli anni abbiamo sempre cercato di mantenere intatta la qualità del prodotto. Molti dei nostri clienti vengono da noi da quando abbiamo aperto, prima erano ragazzini e ora sono nonni. Di conseguenza i loro figli ci hanno conosciuto, e ora ci conoscono anche i loro nipoti. Abbiamo sempre cercato il giusto punto d’incontro con i clienti, lavorando sodo e duramente. È un esercizio aperto al pubblico per poche ore, nella quale cerchiamo di essere precisi il più possibile. I clienti hanno risposto con la loro fedeltà, e questo dal punto di vista ancor prima umano che lavorativo è molto gratificante.
Niente Internet, niente pagine nei social network. Avete dato un calcio all’evoluzione del web rimanendo fermi nei vostri principi.
Ai tempi dei miei genitori questi strumenti non esistevano. La miglior pubblicità per noi è stato sempre il passaparola. Quando mio padre era ancora in vita la domenica si lavorava sempre. C’erano le partite alle 14:30, lo stadio era sempre pieno di gente e davanti alla pizzeria c’era una grande folla. La voce girava e la gente ha imparato a conoscerci venendo di persona a provare queste magiche pizzette. Come detto prima, le generazioni successive non hanno avuto bisogno di internet per individuarci, era sufficiente sentire un racconto dei propri genitori o dei propri nonni. I miei genitori mi hanno sempre raccontato che tra i primi nostri clienti, appena aperti, c’erano dei giovani ragazzi che giocavano a basket, e dopo le partite si fermavano sempre in pizzeria per rifocillarsi. Io al tempo avevo due anni, e ora che ne sono passati 46, gli stessi giovani ragazzi del tempo sono tutt’ora nostri clienti, soltanto un po’ invecchiati! Immaginate il passaparola che hanno fatto ai loro figli, ai loro nipoti e alle nuove generazioni.
In questi ultimi anni la crisi ha messo in ginocchio molte attività, tra cui molte pizzerie: voi ne avete risentito?
Ad essere sincera, devo ammettere che la crisi non l’abbiamo sentita più di tanto. C’è stato un periodo in cui abbiamo avuto un lieve calo, dovuto però al rifacimento dell’adiacente piazzetta. I lavori in corso hanno tolto molti parcheggi e i clienti non sempre trovavano lo spazio per fermarsi. Un calo dei clienti per la crisi però non lo abbiamo accusato, al massimo qualcuno si è limitato nell’acquisto, nel senso che se prima l’ordine era di 20 pizzette diventava di 15. Ma tutto sommato no, la crisi ci ha risparmiato. I clienti sono rimasti comunque fedeli a noi.
46 anni sono passati. Prima i tuoi genitori, ora tu e tuo fratello. I vostri figli porteranno ancora in alto la storia della Pizzetta d’Oro?
Non so se ci sarà una terza generazione all’interno della gestione, ma credo di si. Mia figlia Marta già collabora con noi, ha voluto fare lei questa scelta. Se avesse voluto fare l’università non avrei avuto nulla in contrario. Devono essere loro a scegliere per il loro futuro, senza sentirsi obbligati a continuare per forza una tradizione di famiglia. Io e mio fratello siamo comunque ancora giovani, e siamo felicissimi di avere figli e nipoti che, come è successo a noi tanti anni fa, vogliano imparare questa professione e portare avanti questa bellissima attività di famiglia.
Articolo di Stefano Cabras.

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