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La pecora nera di Arbus: una biodiversità riscoperta dagli allevatori che offre prodotti di alta qualità

La pecora nera di Arbus, una biodiversità riscoperta dagli allevatori che non corre più il rischio di estinzione e offre prodotti di alta qualità.

Ad Arbus si dovrebbe dire “La pecora bianca della famiglia”,perché di pecore bianche in giro se ne vedono pochissime. Da queste parti infatti, la pecora nera è endemica. Non si tratta di una mutazione genetica frutto della casualità, né del risultato di una selezione condotta dall’uomo, ma di una razza sarda antichissima che ha rischiato l’estinzione.

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 Pecora nera di Arbus 7  

Contrariamente a quanto si crede le pecore nere non sono il frutto di una rara coincidenza genetica come l’albinismo, ma sono una vera e propria razza ovina caratteristica della zona di Arbus, con peculiarità fisiche e caratteriali che le distinguono dalle cugine bianche. Ma mentre la “Razza sarda” bianca attuale è frutto di una selezione iniziata in Sardegna intorno alla metà degli anni ’20, la pecora nera rappresenta una biodiversità che non è mai stata oggetto di selezioni forzate. La pecora nera possiede le corna, mentre la bianca le ha perse per effetto della selezione, presenta orecchie più piccole ed è in generale più piccola di dimensioni. Di temperamento più docile, tende a essere più materna con il proprio agnellino. Oltre il colore del vello, la differenza tra le due razze è data anche dalla qualità del latte prodotto. La pecora nera essendo più rustica si nutre anche di foglie e germogli degli arbusti della macchia mediterranea, mentre quella bianca bruca solo l’erbetta dei pascoli. Questo, unito al fatto che i pascoli si estendono in zone vicine al mare subendo l’influenza dell’aria salmastra, conferisce al suo latte a alla sua carne un sapore diverso. Questo tipo di alimentazione rende il latte più grasso e proteico, adatto alla produzione di formaggi. Tuttavia ne produce una quantità nettamente inferiore rispetto alla razza bianca e questo spiega perché in pochissimi le allevino, tanto che dieci anni fa rischiava l’estinzione. In Sardegna vivono quasi 5 milioni di pecore di Razza Sarda, il 40 per cento degli ovini di tutta Italia.

Mentre le pecore nere fino a 10 anni fa erano solo 500, adesso se ne contano 2 mila esemplari. L’estinzione della pecora nera è stata scongiurata anche grazie all’impegno di alcune aziende come il Caseificio Funtanazza dei fratelli Lampis, che allevano esclusivamente pecore nere lasciandole allo stato brado e lasciando che si riproducano in maniera del tutto naturale. Anche il vello della pecora nera, chiamato “Moretto”è più ricercato. Nero corvino nell’agnello schiarisce degradando a marrone scuro con la crescita dell’animale. Attualmente viene impiegato nella lavorazione dei tessuti e dei filati per la sua colorazione naturale. Viene lavorato con procedimenti artigianali, attraverso un paziente lavoro di pulitura e cardatura. Spesso una volta infeltrito viene utilizzato per lavori artistici come quelli realizzati da Gabriella Caria di Nuove Tecnologie, un’azienda di Guspini che lavora e sperimenta anche con la lana “Moretto”. Gabriella spiega: «Il procedimento di lavorazione è lungo, soprattutto la fase di pulitura, perché le pecore sono allo stato brado e nella loro lana rimangono impigliati frammenti di cardo, spine, tanto fango ed escrementi e si deve lavare e rilavare finché l’acqua del risciacquo non scorre cristallina». La lana viene poi posta ad asciugare all’ombra. I nodi vengono allargati a mano, tolte le eventuali impurità rimaste e infine viene cardata con l’aiuto di pettini speciali. Questo procedimento Annalisa Lecca della fattoria didattica Alba sul Monte Maiori, lo conosce bene perché nei suoi laboratori lo spiega a bambini e adulti, ed è lo stesso procedimento utilizzato da centinaia di anni per produrre l’orbace. Questo tessuto può essere reso completamente impermeabile senza l’uso di sostanze chimiche, semplicemente con un processo meccanico di infeltrimento esattamente come facevano i pastori. Una volta tessuto, l’orbace veniva bagnato, insaponato e pestato con i piedi finché le fibre della lana non si legavano tanto strettamente tra loro da non consentire all’acqua di passare. «Quel mantello caldo e impermeabile, per il pastore costituiva la casa quando si trovava nei pascoli», racconta Annalisa, «infatti i pastori dicevano che loro custodivano le pecore  e in cambio le pecore con la loro lana custodivano il pastore».

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