Il volto della determinazione, l’intervista allo scalatore sardo Angelo Lobina

È diventato il mito di tante persone già da quando, un anno fa, portò in alto l’orgoglio sardo issando la bandiera dei Quattro Mori sulla cima più alta del mondo, quella del monte Everest. Allo scalatore sardo Angelo Lobina, in seguito
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È diventato il mito di tante persone già da quando, un anno fa, portò in alto l’orgoglio sardo issando la bandiera dei Quattro Mori sulla cima più alta del mondo, quella del monte Everest. Allo scalatore sardo Angelo Lobina, in seguito a quella tappa, mancava una sola spunta per completare la lista del progetto Sardegna7Summits e il 13 gennaio 2018 è riuscito a coronare il suo sogno, conquistando la cima del Monte Vinson (4.892m) nel freddo Antartide. Lobina è ad oggi il primo sardo in assoluto ad aver concluso questa avvincente sfida.
Antartide 2018
Posted by Sardegna7Summits ASD on Thursday, 1 February 2018
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Un borgo sardo fu fondato da contadini veneti ed esuli istriani in fuga dalla Jugoslavia: sapete quale?

Chi si salvò dalle famigerate foibe - le cavità tipiche delle Alpi carsiche dove i partigiani di Tito erano soliti gettare i corpi delle persone uccise - cercò il suo spaziò un po' ovunque in Italia e nel mondo.
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Via Pola, via Istria, via Fiume, via Dalmazia e Chiesa di San Marco. Passeggiando per le vie di Fertilia, a pochi chilometri da Alghero, la toponomastica ci ricorda che siamo in Sardegna, ma siamo anche un po’ più a est, al di là di Trieste, in quella terra che smise di essere italiana – e solo politicamente – dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dal febbraio del 1947, quando il Trattato di Parigi assegnò Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia, iniziò l’esodo di tanti italiani verso ovest, in fuga dalle rappresaglie delle truppe partigiane di Tito. Alcuni di loro giunsero in Sardegna, a Fertilia per la precisione.
Furono migliaia le persone uccise e gettate nelle foibe dalle rappresaglie titine tra il 1943 e il 1947. Chi si salvò dalle famigerate foibe – le cavità tipiche delle Alpi carsiche dove i partigiani di Tito erano soliti gettare i corpi delle persone uccise – cercò il suo spaziò un po’ ovunque in Italia e nel mondo.
A pochi chilometri dalla bella città catalana di Alghero, sorgeva un piccolo agglomerato di case fondato nel 1936 da Mussolini e denominato Fertilia. Alcune decine di istriani viaggiarono per mare, dal chiuso e accogliente Mare Adriatico fino al tempestoso e lunatico Mare di Sardegna. Chissà cosa pensarono una volta avvistati i faraglioni e le coste frastagliate di Porto Conte. Guidati da un prete, costruirono prima un campanile simile a quello di Piazza San Marco a Venezia, poi le case e infine le scuole. Da pescatori millenari, iniziarono a raccogliere quello che offriva il mare, per poi scoprire quanto quel mare fosse diverso e più insidioso dall’Adriatico. Fu soprattutto la terra, fertile e produttiva in quell’area dopo essere stata bonificata, a dare loro da vivere.
Sorbendo un caffè da Sbisa’, un bar del centro di fondazione giuliana, è ancora possibile di tanto in tanto sentire qualcuno parlare in istriano. E su una alta stele di marmo che guarda il mare si può leggere la scritta: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraternamente gli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia». Furono anni non facili per gente in fuga dall’orrore e in cerca di integrazione tra i sardi e gli immigrati di origine ferrarese che popolarono Fertilia in cerca di terra da coltivare dopo le bonifiche.

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