Lo sapevate? Il celebre compositore Goffredo Mameli aveva origini sarde. Sapete di dove?

Goffredo Mameli, nacque a Genova nel 1827 e morì a soli 21 anni a Roma a causa di una ferita infetta riportata in battaglia. Patriota, poeta e scrittore, compose il testo dell’Inno d’Italia, musicato poi da Michele Novaro. Ma
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Goffredo Mameli, nacque a Genova nel 1827 e morì a soli 21 anni a Roma a causa di una ferita infetta riportata in battaglia. Patriota, poeta e scrittore, compose il testo dell’Inno d’Italia, musicato poi da Michele Novaro. Ma non tutti sanno che le sue origini furono sarde e per la precisione ogliastrine.
Il suo trisnonno, Giommaria Mameli, nacque a Gairo nel 1675 e divenne notaio a Tortolì. L’imperatore Carlo VI d’Asburgo lo elevò al rango di nobile e lo nominò console alla Corte sabauda di Torino. Giommaria sposò una nobildonna spagnola ed ebbe 7 figli.
Il padre di Goffredo, Giorgio Giovanni Mameli nacque a Lanusei nel 1798 e morì a Genova nel 1871. Fu controammiraglio della Regia Marina Sarda e Cavaliere dall’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Un’altra curiosità? Il cervello del giovane poeta di origini ogliastrine è conservato nel museo di anatomia umana di Torino.

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Un borgo sardo fu fondato da contadini veneti ed esuli istriani in fuga dalla Jugoslavia: sapete quale?

Chi si salvò dalle famigerate foibe - le cavità tipiche delle Alpi carsiche dove i partigiani di Tito erano soliti gettare i corpi delle persone uccise - cercò il suo spaziò un po' ovunque in Italia e nel mondo.
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Via Pola, via Istria, via Fiume, via Dalmazia e Chiesa di San Marco. Passeggiando per le vie di Fertilia, a pochi chilometri da Alghero, la toponomastica ci ricorda che siamo in Sardegna, ma siamo anche un po’ più a est, al di là di Trieste, in quella terra che smise di essere italiana – e solo politicamente – dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dal febbraio del 1947, quando il Trattato di Parigi assegnò Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia, iniziò l’esodo di tanti italiani verso ovest, in fuga dalle rappresaglie delle truppe partigiane di Tito. Alcuni di loro giunsero in Sardegna, a Fertilia per la precisione.
Furono migliaia le persone uccise e gettate nelle foibe dalle rappresaglie titine tra il 1943 e il 1947. Chi si salvò dalle famigerate foibe – le cavità tipiche delle Alpi carsiche dove i partigiani di Tito erano soliti gettare i corpi delle persone uccise – cercò il suo spaziò un po’ ovunque in Italia e nel mondo.
A pochi chilometri dalla bella città catalana di Alghero, sorgeva un piccolo agglomerato di case fondato nel 1936 da Mussolini e denominato Fertilia. Alcune decine di istriani viaggiarono per mare, dal chiuso e accogliente Mare Adriatico fino al tempestoso e lunatico Mare di Sardegna. Chissà cosa pensarono una volta avvistati i faraglioni e le coste frastagliate di Porto Conte. Guidati da un prete, costruirono prima un campanile simile a quello di Piazza San Marco a Venezia, poi le case e infine le scuole. Da pescatori millenari, iniziarono a raccogliere quello che offriva il mare, per poi scoprire quanto quel mare fosse diverso e più insidioso dall’Adriatico. Fu soprattutto la terra, fertile e produttiva in quell’area dopo essere stata bonificata, a dare loro da vivere.
Sorbendo un caffè da Sbisa’, un bar del centro di fondazione giuliana, è ancora possibile di tanto in tanto sentire qualcuno parlare in istriano. E su una alta stele di marmo che guarda il mare si può leggere la scritta: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraternamente gli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia». Furono anni non facili per gente in fuga dall’orrore e in cerca di integrazione tra i sardi e gli immigrati di origine ferrarese che popolarono Fertilia in cerca di terra da coltivare dopo le bonifiche.

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