Chiara Obino, la dea dei record che sfida l’abisso tutto d’un fiato (FOTOGALLERY)

Un racconto che sa di leggenda. La storia dell’apneista Chiara Obino conserva qualcosa di eroico, un racconto straordinario che potrebbe rientrare nelle biografie femminili narrate nel recente bestseller “Storie della buona notte per bambine ribelli”. Si parla di donne che
Un racconto che sa di leggenda. La storia dell’apneista Chiara Obino conserva qualcosa di eroico, un racconto straordinario che potrebbe rientrare nelle biografie femminili narrate nel recente bestseller “Storie della buona notte per bambine ribelli”. Si parla di donne che hanno cambiato la storia, vite intense e modelli femminili positivi, di quelli che sanno uscire dai luoghi comuni e farsi strada in un mondo che richiede esempi coraggiosi.
Chiara è cagliaritana doc, 41 anni che sprigionano di un’eterna giovinezza. Come quando, fin da piccola, si calava istintivamente nei fondali blu alla ricerca dei pesci più colorati. Lo studio la fece approdare a Bologna, dove conseguì la laurea in odontoiatria. Chiara è un medico dentista, da diciotto anni lavora nello studio associato al padre in via della Pineta.
La passione per gli abissi la concretizzò nel 2003 quando, tornata in patria, partecipò ad un corso. Prima di allora l’apnea non era uno sport riconosciuto, si narrava solo di imprese leggendarie di uomini straordinari che sfidavano l’abisso, tra tutti le suggestionanti gesta dell’eroico Maiorca e in seguito di Pelizzari. «Il mio sogno nel cassetto si stava realizzando – racconta – Con la pratica ho realmente capito che la ricerca della profondità era quello che mi piaceva. Da giovane mi allenavo anche tre ore al giorno, ora invece, dedico solo un’ora in pausa pranzo. Mi alleno però un intero anno, con una sola breve pausa dopo le competizioni. Il mio è un allenamento senza tregua, sono sottoposta a un’intensità elevatissima, monitorata costantemente dal mio allenatore in acqua e dal mio personal trainer in palestra. Da giugno invece inizio gli allenamenti di qualità in mare. Non sono però una professionista, non mi alleno quanto dovrei: ho un lavoro impegnativo, oltre che gratificante, ed una splendida famiglia. Loro sono le mie priorità».
La passione ha così incontrato il talento, tanto da trasformare Chiara in una irrefrenabile collezionista di medaglie. Nel palmares dell’atleta della nazionale italiana, si contano tre record del mondo, due record italiani, cinque titoli italiani assoluti, una medaglia d’oro ai campionati mondiali e un argento ai campionati europei. La sirena sarda ha trovato nell’assetto costante (si sale e si scende con ugual peso, ndr) a due pinne la sua migliore veste, collezionando il suo record a -85 metri. Si esercita e gareggia anche nel monopinna (record -95 mt), tecnica più semplice e veloce che utilizza più fasce muscolari.
Le gare di apnea sono gare di profondità dove, il giorno precedente l’atleta dichiara la quota che andrà a raggiungere. «Si tratta di una curiosità complessa da gestire, noi siamo dipendenti da una forza tanto meravigliosa quanto mutevole: il mare. Nonostante le previsioni non sappiamo effettivamente quanto vento, onde e soprattutto corrente troveremo l’indomani», spiega la campionessa. Solo cinque minuti prima dell’official top l’apneista, con tutto il suo entourage, si avvicina al campo gara. Prima di quel momento c’è tutta una fase a ritroso che va dalla visualizzazione del tuffo alla preparazione mentale, al riscaldamento ed infine alla vestizione. «Quando arrivi sul cavo guida, vieni ancorato e munito dalla giuria di orologi che misurano la profondità – spiega – Poi inizia il countdown dei tre minuti, incameri la maggiore quantità di aria possibile, parti con una capovolta e fai il tuo ingresso in acqua».
Iniziano così quei tre/quattro minuti di discesa e risalita in cui l’atleta cerca di vincere la forza pressoria che aumenta di un’atmosfera ogni dieci metri: pinneggiate, polmoni pieni di aria, lotta contro la resistenza fino ai quaranta metri di profondità, quota dalla quale in poi inizia l’assetto negativo, ossia quella forza del mare che ti spinge in caduta libera. Si cerca la posizione più idrodinamica possibile mentre vengono attuate le tecniche di compensazione, indispensabili per resistere alla pressione dell’acqua che comprime le parti molli, quindi timpano, torace e polmoni. Si scende fino ad arrivare alla quota stabilita, quindi si tocca il piattello dove sono attaccati i cartellini che l’apneista sventolerà vittoriosamente una volta risalita a galla.
Ma prima, la risalita. La parte fisica più faticosa perché aumenta l’acidosi muscolare. Riabbattere la linea di pressione, pinneggiare fino ai quindici metri dalla superficie prima di lasciarsi andare e concentrarsi nella fase cruciale dell’uscita pulita. «Appena esci in superficie devi essere brava a introdurre aria in velocità per ripristinare la quantità di ossigeno basilare per rimanere vigile ed evitare il blackout, una sorta di svenimento che il corpo aziona per proteggere gli organi vitali – continua – Ciò che più conta qui è l’approccio mentale, non devi farti sfiorare da pensieri negativi e devi essere convinto di governare quella performance. È uno shock dell’organismo ma, dopo questa fase che dura dieci secondi, riprendi a respirare normalmente. In seguito dai un segnale manuale alla giuria e attendi che venga convalidato il tuffo».
E così Chiara cerca il limite, lo trova e lo supera. Facile, si direbbe, visto che queste sono le prerogative dello sportivo. Ma qui si tratta di un’epopea grandiosa. Dai suoi racconti si evince un’indiscussa determinazione, una ferrea competitività e un self control che potrebbe fare a gara con i più navigati asceti indù. «Non cerco mai il rischio, ma è normale ci sia perché è insito nella vita: sembra assurdo ma l’apnea presenta meno pericoli che guidare ogni mattina per andare sul posto di lavoro. Abbiamo strumenti di sicurezza che riducono gli incidenti quasi a zero – racconta – E proprio perché ho una grande consapevolezza del pericolo che, fuori dall’acqua, sono molto attenta».
Sembra che Chiara abbia costruito attorno a sé un’aura dove il concetto della paura non esiste, invece, ci rivela: «Io convivo costantemente con la paura, ho temuto molte volte in acqua. Però cerco di guardarla in faccia, di capire da dove proviene e di metabolizzarla. Ho imparato che la paura aumenta quando aumenta la stanchezza, noi apneisti abbiamo più paura di morire dei comuni mortali perché ci confrontiamo ogni giorno con la morte – ci racconta – Ho molta consapevolezza del mio corpo e grande rispetto per la vita, quindi, non mi espongo mai quando so che non ci sono le condizioni adatte per eseguire una performance. In più, sono supportata da una meravigliosa equipe che sa consigliarmi e frenarmi quando invece l’adrenalina ti accieca e ti farebbe scendere in acqua certa di vincere ogni resistenza». Inoltre, la sua ulteriore ancora di salvezza è il marito Edmondo, il capo del suo team di sicurezza. «Avere il suo sostegno è uno dei miei segreti. È capace, pratico e preciso: non temo quando c’è lui a supervisionare il mio tuffo».
Stimolata dall’inesplorato, Chiara si chiede sempre cosa c’è dopo quella profondità che ho fatto sua. Quindi cerca di spingersi oltre. «Non è la medaglia in più al collo che mi ha spinto a continuare, ma l’incredibile viaggio introspettivo che questa disciplina mi sta offrendo – prosegue – Devi sempre trovare una via d’uscita e motivazioni nuove: il mare non da scampo, devi farcela con le tue stesse risorse. È affascinante scoprire come superi una situazione limite che, se avessi incontrato nella vita reale, magari avresti risolto scegliendo una scappatoia». La compostezza mentale di Chiara trapela nelle sue parole e anche il più scettico sarebbe attirato da questi aneddoti.
«La maggior parte dei problemi sott’acqua è di natura psicologica – continua – devi trovare la tua strategia mentale, devi scendere immersa in una bolla di pensieri attivanti. Cambio approccio ogni stagione, quest’anno per esempio mi è bastato sostituire la parola “posso” con “voglio”. In acqua penso che tutte le cellule del mio corpo sono allineate in un’unica direzione attirate da un magnete. Molti apneisti, inoltre, sono passati per lo yoga, questa millenaria tecnica dove al centro sta il flusso respiratorio e il battito cardiaco. Quando assimili questo metodo, capisci anche che l’esperienza si annida lì dove non stai respirando e quindi ti si apre un altro mondo».
La campionessa italiana in carica, infine, ci dichiara il suo amore incondizionato per Cagliari, togliendosi però un sassolino: «Ho un legame fortissimo con la mia città, abbiamo risorse naturali eccezionali. Gli stessi cagliaritani, però, la sottovalutano: abbiamo poco rispetto per la natura, anche in mare: dovrebbe quindi partire da ognuno di noi una forma di impegno più forte per questo ambiente meraviglioso che ci circonda».

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