Lavorare “alla pari” all’estero. Un’esperienza che attira sempre più giovani

Occuparsi dei bambini, vivere all’estero in una famiglia che non è la nostra e nel frattempo imparare una lingua straniera. Sono questi gli aspetti che spingono tanti ragazzi, spesso neodiplomati o comunque ventenni, che ogni anno partono dall’Italia e viceversa
Occuparsi dei bambini, vivere all’estero in una famiglia che non è la nostra e nel frattempo imparare una lingua straniera. Sono questi gli aspetti che spingono tanti ragazzi, spesso neodiplomati o comunque ventenni, che ogni anno partono dall’Italia e viceversa arrivano in Italia per lavorare come “ragazzi alla pari”.
Il programma alla pari (detto anche au pair ndr) è un’opportunità per i giovani fra i 18 e i 30 anni che desiderano fare un’esperienza di lavoro all’estero per qualche mese, nell’ambito della cura all’infanzia e allo stesso tempo vivere in un clima familiare nel quale si attua un vero e proprio scambio culturale sia per chi ospita che per chi è ospitato. Concretamente, il lavoro alla pari è una prestazione all’interno di una famiglia che prevede un monte ore settimanale fissato che è retribuito con vitto, alloggio e un pocket money.
Per poter lavorare come au pair ci si appoggia in genere alle agenzie che trattano queste pratiche, anche se sono diffusi in rete i fai da te, ovvero i contatti diretti o presunti tali che possono nascondere però delle insidie. In Italia è l’ANIAP – Associazione Nazionale Italiana alla Pari (associazione di agenzie italiane degli scambi au pair) che coordina le agenzie italiane e ne garantisce la serietà dell’operato. Come ricorda Gaia Leonardi – Presidente dell’ANIAP: «È bene affidarsi a delle agenzie accreditate perché c’è sempre il rischio di essere truffati o comunque di non essere seguiti bene nella pratica». Il ruolo dell’agenzia è infatti fondamentale sia per chi ospita che per chi viene ospitato, perché è l’agenzia che fa una prima selezione dei candidati e li mette in contatto con la potenziale famiglia ospitante, curando poi tutti gli aspetti burocratici come la firma dell’accordo e la risoluzione in itinere di eventuali problemi con le famiglie e con i ragazzi che possono portare anche al trasferimento del ragazzo.
Pur non trattandosi di un programma finanziato dall’Unione Europea, come ad esempio Erasmus +, il lavoro alla pari è riconosciuto e promosso non solo dai paesi dell’Unione ma anche da altri paesi come gli Stati Uniti, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Cina, il Sud Africa e il Brasile. Ciascuno di questi paesi ha le sue regole interne, relativamente ai visti e alla regolamentazione stessa di questo tipo di lavoro, ma in tutti sono previsti e stabiliti i diritti e i doveri dei giovani au pair.
La giornata di un au pair è scandita dai ritmi della famiglia ed è bene che chi si candida per diventare tale, abbia le caratteristiche giuste che gli permettano di adattarsi alla vita quotidiana in una nuova famiglia. Maturità, capacità di comunicazione, buon senso, capacità di adattamento, motivazione, elasticità e conoscenza del mondo infantile, sono infatti gli aspetti che vengono tenuti in considerazione dalle famiglie che scelgono i ragazzi che si occuperanno dei propri figli. È preferibile poi avere la patente, non essere fumatori ed è assolutamente richiesta la conoscenza di base della lingua del paese ospitante.
Una volta presentata la candidatura all’agenzia, quest’ultima contatta il ragazzo per un primo colloquio e, in caso di esito positivo, avviene il colloquio – spesso via Skype – con la potenziale famiglia ospitante che nel frattempo è stata individuata fra le tante che richiedono queste figure. La firma dell’accordo, la cui durata minima e massima e clausole variano da paese a paese, sancisce infine l’effettivo ingresso del giovane in famiglia.
Negli Stati Uniti, ad esempio, il programma è ben strutturato e gli au pair, di massimo 26 anni di età, vengono accolti per un massimo di 12 con visto apposito, pagati 190 dollari alla settimana per 40 ore di lavoro e la frequentazione obbligatoria di corsi di lingua; qui è la famiglia ospitante che paga l’assicurazione sanitaria, il visto e il volo del ragazzo. Negli altri paesi europei ed extraeuropei, invece, gli au pair vengono accettati fino ai 30 anni, la settimana lavorativa è di 30 ore e al ragazzo vengono dati 80 euro.
La voglia di trascorrere un anno o qualche mese per lavorare alla pari si sta diffondendo sempre di più fra i giovani italiani e sono tanti ormai anche i ragazzi che provano a svolgere una mansione che tradizionalmente veniva affidata alle ragazze. Fare il baby sitter, infatti, non è più visto come prerogativa femminile soprattutto se questa esperienza diventa un’occasione di crescita e di formazione anche in ambito linguistico.

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