L’orsa KJ2 è stata abbattuta. Un animale selvatico ucciso nella sua terra per aver seguito il suo istinto
Nella serata di sabato 12 agosto, come riporta il quotidiano Corriere della Sera, gli agenti del Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento hanno proceduto all’abbattimento dell’orsa KJ2, nell’area del Bondone, la montagna che sovrasta la città di Trento. L’animale
canale WhatsApp
Nella serata di sabato 12 agosto, come riporta il quotidiano Corriere della Sera, gli agenti del Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento hanno proceduto all’abbattimento dell’orsa KJ2, nell’area del Bondone, la montagna che sovrasta la città di Trento. L’animale aveva ferito il 22 luglio scorso un uomo che passeggiava con il suo cane in un bosco in zona laghi di Lamar, in Trentino. Pochi giorni fa l’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali (Enpa) — citando un’intervista rilasciata da Claudio Groff, responsabile settore grandi carnivori, servizio foreste e fauna della Provincia autonoma di Trento — aveva in realtà fatto sapere che sarebbe stato «l’uomo di 69 anni ad aggredire per primo l’animale e non viceversa».
La decisione fa seguito a quanto richiesto dall’ordinanza emessa dal governatore della Provincia di Trento, Ugo Rossi, per garantire la sicurezza delle persone. «L’orsa è stata uccisa perché pericolosa per gli uomini e recidiva», si legge nel comunicato. «Ciò è stato possibile grazie alle precedenti attività di identificazione genetica e alla successiva cattura dell’animale», ritenuto «responsabile di due aggressioni». L’ordinanza ha consentito l’identificazione e quindi il trasporto dell’animale in un recinto alle porte della città, dove è stata «radiollarata» ai primi del mese di agosto.
L’animale in questione — un’orsa di 14 anni e 133 chili di peso (nata da Kirka e Joze), nome in codice Kj2 — è stata riconosciuta grazie a un test sui peli ritrovati nel luogo dell’ultima aggressione, un sentiero tra il Lago di Terlago e il Lago di Lamar. Le regole per la cattura di un animale protetto come l’orso prevedono una serie di procedure definite dal ministero per l’Ambiente in accordo con le Regioni. Dopo l’aggressione di luglio, erano state posizionate delle trappole, due a tubo e una a laccio, nell’area. La procedura prevede che l’animale, una volta intrappolato — spiega l’amministrazione provinciale — venga narcotizzato, per consentire alla squadra di cattura di mettere un radiocollare all’animale, impiantargli un microchip e prelevare materiale genetico, in particolare peli e sangue. Poi, l’orso deve essere rilasciato e ricatturato (dopo avergli infilato un radiocollare) solo dopo la conferma che sia davvero il responsabile dell’attacco attraverso il test del dna. Le squadre operative devono essere di almeno quattro uomini, tra cui un veterinario, un operatore addestrato all’uso di fucili, un forestale con fucile tradizionale (per garantire la sicurezza della squadra) e un conduttore di cane addestrato alle attività contro gli «orsi problematici».
Il Wwf, dopo la seconda aggressione, aveva subito espresso la sua vicinanza all’uomo ferito, ma ricordato: «La convivenza è sempre possibile, con gli opportuni accorgimenti», contenuti tra l’altro nel vademecum «Cosa fare se si incontra un orso». Oggi, dopo la notizia, l’Aidaa attacca: «Puntualmente quello che avevamo pensato si è avverato, gli assassini hanno colpito ancora e ieri sera hanno ucciso KJ2». Attualmente in provincia di Trento ci sono circa 50 orsi.
Ad intervenire sulla questione anche la Lega anti vivisezione (LAV) che definisce l’abbattimento dell’animale «una grave macchia per la Provincia di Trento». Quello è stato emesso è, infatti, un «verdetto di condanna vergognoso, una sentenza senza processo, sulla spinta emotiva e irrazionale di un’amministrazione provinciale che vuole pieno diritto di vita e di morte sugli orsi e dove la possibilità di cattura era solamente un alibi per nascondere una chiara intenzione». Gli orsi, una volta reintrodotti in Trentino dalla Provincia stessa, prima «hanno costituito un vanto con tanto di pubblicità luccicante per attirare turisti curiosi, poi sono divenuti un nemico da far fuori non appena il naturale comportamento si fosse manifestato». A mancare, conclude la Lega, è un’educazione alla convivenza e al rispetto reciproco. «L’assassinio di Kj2 è un presa di posizione diretta contro gli animali e contro l’ambiente e una chiara espressione dell’incapacità della Provincia di Trento di gestire il piano di salvaguardia dell’orso bruno», mettendo il luce come verranno gli estremi per il reato di uccisione non necessitata di animali, punita dall’articolo 544 del Codice Penale, citando anche il caso dell’orsa Daniza, uccisa dall’anestesia mentre tentavano di catturarla nel 2014.
Nonostante gli appelli, gli avvertimenti, gli ammonimenti, i ricorsi, «l’amministrazione provinciale di Trento ancora una volta ha dato prova di prepotenza e crudeltà», ha concluso l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, presidente del Movimento animalista. «L’unica speranza in questa brutta vicenda — ha aggiunto Rinaldo Sidoli, del Movimento animalista — è che infiammi l’opinione pubblica, che porti l’indignazione al punto giusto, quanto serva finalmente a porre fine all’assurda persecuzione dichiarata in questo Paese contro tutti gli animali selvatici». I Verdi del Trentino esprimono il loro «forte dissenso» nei confronti della decisione, da parte della Provincia autonoma di Trento, di abbattere l’orsa KJ2.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Come si chiama l’asfodelo in sardo campidanese?

Una delle piante spontanee più belle della macchia mediterranea: sapete come si dice asfodelo in sardo campidanese?
canale WhatsApp
Come si chiama l’asfodelo in sardo campidanese?
Una delle piante spontanee più belle della macchia mediterranea: sapete come si dice asfodelo in sardo campidanese?
L’asfodelo, una pianta simbolo della Sardegna tra tradizione e bellezza.
L’asfodelo, pianta spontanea che abbellisce i paesaggi sardi, non è solo un elemento decorativo della flora mediterranea, ma rappresenta anche un simbolo di resistenza e storia di una terra ricca di cultura. Con il suo portamento elegante e imponente, capace di raggiungere altezze fino a 150 cm, si erge fiera tra le sterpaglie dell’isola, regalando uno spettacolo che cattura l’attenzione di chiunque attraversi i suoi campi. Ma come è conosciuto in sardo campidanese? La risposta, sorprendentemente, è complessa: i sardi amano dare nomi differenti a questa pianta, a testimonianza della loro creatività linguistica e del legame profondo con la terra.
L’asfodelo, infatti, è chiamato in modi diversi a seconda delle zone: a Cagliari lo si potrebbe sentire chiamare “cadrilloni”, mentre in altre località assume i nomi di “caldilloni”, “calixone”, “carilloni” o addirittura “iscarìa”. Questi appellativi variegati riflettono non solo la diversità culturale dell’isola, ma anche l’importanza che questa pianta ha per la vita quotidiana degli abitanti. Dal mese di marzo a maggio, i fiori bianchi con riflessi rossastri si schiudono, colorando il paesaggio con un’eleganza delicata e rendendo l’asfodelo una vera e propria regina dei terreni più aridi e sassosi.
Ma l’asfodelo non è solo bello da vedere; ha anche un ruolo ecologico importante. Nonostante gli animali al pascolo tendano a snobbarla, considerandola un’infestante, ci sono creature che invece la adorano: le api. Queste instancabili lavoratrici trovano nei suoi fiori una fonte preziosa di nettare, dando vita a un miele dal sapore unico, che racconta della flora e della fauna di Sardegna. Questo piccolo segreto della natura è solo uno dei tanti doni che la pianta riserva ai suoi abitatori.
La versatilità dell’asfodelo non finisce qui. Gli artigiani sardi utilizzano la sua corteccia per creare autentici capolavori, dai cestini intrecciati ad altri oggetti tradizionali. Queste creazioni raccontano storie di un tempo in cui l’ingegno locale si metteva al servizio della necessità, trasformando un materiale apparentemente semplice in opere di grande artigianato. In questo modo, l’asfodelo diventa un legame tra passato e presente, un filo invisibile che unisce generazioni diverse.
Non possiamo trascurare le sue radici, che in periodi di carestia sono state fondamentali per la sopravvivenza dei sardi. Tuberizzate e ricche di amido, queste radici sono state una risorsa vitale per chi affrontava momenti difficili. Così, l’asfodelo non solo resiste alle sfide dell’ambiente, ma offre anche supporto concreto in tempi di bisogno. Il suo fusto verde, robusto e privo di foglie, si erge con fierezza, circondato da lunghe foglie sottili che danzano nel vento caldo dell’isola.
Le infiorescenze piramidali di questa pianta regalano un vero e proprio spettacolo visivo, con piccoli frutti che vanno dal verde al rossastro, pronti a disperdere i loro semi tra settembre e l’autunno avanzato. L’asfodelo, emblema di bellezza e di adattamento, è una presenza costante e rassicurante nei terreni più poveri e sassosi, spesso avvistata lungo le strade, dove sa come farsi notare con il suo fascino discreto.
Inoltre, l’asfodelo ha trovato spazio nell’arte e nella tradizione sarda, diventando un elemento ricorrente nella ceramica, nei tessuti e nei decori. La prossima volta che visiterete la Sardegna, non sarà insolito tornare a casa con un affascinante cestino realizzato con la sua corteccia, un oggetto che porterà con sé la bellezza e la storia di questa terra unica. Durante il vostro cammino, se vi troverete a passare accanto a un campo di asfodeli, o “cardilloni”, prendetevi un momento per osservare attentamente. Davanti a voi avrete un pezzo autentico di Sardegna, capace di raccontare storie antiche e di continuare a vivere nel cuore di coloro che abitano questa isola meravigliosa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

