Vertenza Wind Tre: sit-in di centinaia di lavoratori per chiedere all’azienda di fermare l’esternalizzazione

Trecento magliette con la scritta “Wind Tre, vendesi 900 famiglie“, e un obiettivo chiaro: salvare il posto di lavoro. L’incubo dei 400 lavoratori del call center di Elmas ex h3G si chiama esternalizzazione. Un piano che a seguito della fusione
Trecento magliette con la scritta “Wind Tre, vendesi 900 famiglie“, e un obiettivo chiaro: salvare il posto di lavoro. L’incubo dei 400 lavoratori del call center di Elmas ex h3G si chiama esternalizzazione.
Un piano che a seguito della fusione fra i due giganti della telefonia mobile Wind e Tre, era stato presentato da vertici del nuovo colosso ai sindacati nell’incontro a Roma dello scorso 22 maggio. Il rischio dell’esternalizzazione del settore customer care è quello di legare a doppio filo il destino degli operatori alle sorti di una commessa esterna e alla possibilità che, con il suo esaurimento, potrebbe non essere rinnovata, esponendo così i dipendenti alla perdita del proprio posto di lavoro.
Fra le ragioni della decisione di casa madre, non ci sono quelle legate ad una situazione di crisi; il fatturato nel 2016 ha fatto registrare una crescita, così come i dati economici e finanziari, migliorati rispetto al 2015, e anche il primo trimestre del 2017 ha confermato lo stato di buona salute.
Da qui il fondato sospetto che l’esternalizzazione sia preludio per liberarsi dal peso di scelte future che impattino sul perimetro occupazionale, e la libertà di cercare sul mercato altre aziende alle quali affidare il servizio clienti del numero 133 a condizioni più vantaggiose per Wind Tre.
Il sit in di oggi non ha bandiere, né sindacali né tanto meno politiche, solo uomini e donne accomunati da una maglietta nera e da una paura comune per il proprio futuro: «Chiediamo all’azienda di rivedere la propria strategia– spiega la RSU Uilcom Marianna Stara- ad esempio attraverso la creazione di una società ad hoc ma sempre interna al gruppo». «Il rischio – le fa eco Carla Cabras, lavoratrice del call center e rappresentate per conto della CGIL- è che in futuro la figura dell’operatore con le cuffie vada sparendo, soppiantata dai nuovi strumenti di assistenza al cliente. La garanzia di rimanere all’interno della holding permetterebbe ai lavoratori di poter essere ricollocati all’interno dell’azienda con altre mansioni».
Un passo dei lavoratori verso l’azienda dunque c’è, ma i dipendenti chiedono comunque rispetto: «Il capo del personale ci ha definito”un problema” – racconta con rammarico l’RSU Federica Marchese (Uilcom)- e questo ci è dispiaciuto. I lavoratori dovrebbero essere considerati una risorsa, e i risultati raggiunti in questi anni sono anche merito nostro».
Il loro appello si rivolge anche alle istituzioni locali, solidali finora attraverso le dichiarazioni:«Chiediamo che facciano tutto quanto sia nelle loro possibilità – chiedono i dipendenti attraverso i loro rappresentati- perché l’esternalizzazione e il rischio futuro della perdita di lavoro, sarebbe un costo sociale alto per un territorio già martoriato da altre crisi aziendali»

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