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Come si chiama il garofano in sardo campidanese?
La Sardegna è una terra che parla con mille voci, un mosaico linguistico fatto di sfumature, inflessioni e parole che cambiano da una vallata all’altra, custodendo nei suoni e nei significati la memoria di un’isola antica e stratificata.
Anche un semplice fiore, come il garofano, diventa in questo contesto un piccolo scrigno di storia e identità.
Nel sardo campidanese, infatti, il garofano si chiama gravellu o, a seconda delle zone, grabellu, una parola dal suono forte e armonioso che racchiude secoli di influenze linguistiche e culturali. Il termine deriva dallo spagnolo clavel, chiaro retaggio del lungo periodo di dominazione iberica che ha lasciato una traccia profonda nel lessico dell’isola, soprattutto nelle aree meridionali. Ma come spesso accade in Sardegna, la ricchezza linguistica si manifesta anche nelle varianti: grabéllu, cravellu, gravedhu, gravégliu e graverzu sono solo alcune delle forme con cui, nei diversi centri e dialetti locali, viene indicato lo stesso fiore. Una pluralità di suoni che racconta la vitalità di una lingua viva, capace di adattarsi e trasformarsi senza perdere la propria identità. In sardo, la parola gravellu non si riferisce soltanto al garofano comune, ma anche al garofanino selvatico che cresce spontaneo nei campi e lungo i pendii dell’interno, simbolo di una natura semplice e resistente come il carattere del popolo sardo.
Il termine, inoltre, ha ispirato la denominazione di un tipo di pasta fresca tipica, is gravellus, una creazione artigianale dalla forma floreale che richiama proprio i petali del garofano selvatico. Questa curiosa connessione tra linguaggio, natura e gastronomia dimostra quanto in Sardegna le parole non siano mai isolate, ma intrecciate profondamente con la vita quotidiana, le tradizioni e l’ambiente. Il gravellu è quindi molto più di un nome: è un esempio di come la lingua sarda, nella sua varietà campidanese e nelle sue numerose varianti locali, riesca a conservare la memoria di epoche e dominazioni, fondendo influenze esterne e radici autoctone in un’unica armonia linguistica. Ogni volta che un sardo pronuncia quella parola, riecheggia una storia fatta di contaminazioni culturali, ma anche di resistenza e orgoglio, perché dietro il suono di gravellu si cela il profumo antico di una terra che ha sempre saputo trasformare le parole in identità.