La storia della cagliaritana Marta Loi. “In Spagna vivo con la mia compagna e nostro figlio. L’italia non ci ha rispettati”
Marta Loi ha 32 anni, è nata a Cagliari ma gran parte della sua vita l’ha trascorsa in Spagna, prima a Salamanca poi a Barcellona, dove risiede da otto anni. Laureata in storia dell’arte, attualmente è impegnata in un dottorato. Daniela
Marta Loi ha 32 anni, è nata a Cagliari ma gran parte della sua vita l’ha trascorsa in Spagna, prima a Salamanca poi a Barcellona, dove risiede da otto anni. Laureata in storia dell’arte, attualmente è impegnata in un dottorato. Daniela Conte invece ha 38 anni, è nata a Napoli, dove ha vissuto sino a otto anni fa, momento in cui si è trasferita a Barcellona. Lei è un’artista che ultimamente ha scelto di dedicarsi al mondo della performance.
Sia Marta che Daniela, sono arrivate nella capitale catalana durante la stessa estate, ma si sono incontrate qualche anno più tardi. Vivono da circa tre anni una bellissima storia d’amore, che hanno deciso di coronare sposandosi e scegliendo di avere un bambino.
Quando avete deciso di ampliare la vostra famiglia?
Siamo andate a convivere dopo qualche mese di relazione stabile, e abbiamo iniziato a parlare della possibilità di avere un bimbo. Abbiamo valutato vari aspetti, ma avevamo e abbiamo molta fiducia nella nostra unione. Ci appoggiamo e rispettiamo in tutto, e questo ci è sembrato una buona base per allargare la famiglia. In Spagna l’inseminazione artificiale è all’ordine del giorno, per coppie etero, omosessuali, e anche per donne single. Lo stato copre quattro tentativi gratuiti per donne al di sotto dei 40 anni. Dopo alcune visite e una piccola stimolazione ormonale, il 5 novembre 2014 abbiamo fatto il primo tentativo e Daniela è rimasta subito incinta.
Marta, qual è stata la prima cosa che ha pensato appena ha visto Daniela?
Ci siamo conosciute tre anni fa, durante un evento che io organizzavo. Lei ha partecipato con un’esibizione, travestita da clown. Mi ricordo di aver riso tantissimo e di aver pensato che fosse molto bella. Ma non era il momento giusto per parlarle: stavamo facendo ognuna il proprio lavoro. Una settimana dopo sono andata a vedere un altro suo spettacolo e il giorno dopo le ho chiesto di uscire. Lei ha accettato e ci siamo viste quella stessa sera. Abbiamo parlato sino a tardi e poi ci siamo salutate, lei partiva per Napoli. Piano piano, dopo esserci sentite durante la sua assenza e poi incontrate al ritorno in Spagna, ci siamo innamorate. Il 3 agosto 2015 è nato Ruben, ma dopo poco tempo, la grande gioia per la sua nascita è stata sconvolta dal manifestarsi dei primi problemi con la burocrazia italiana.
Quali problemi sono nati in seguito all’arrivo di Ruben?
Dopo la nascita, è stato registrato all’anagrafe spagnola. Gli hanno assegnato il doppio cognome, quello di Daniela e il mio, come prevede la legge spagnola. La Spagna ha registrato la sua nascita ma non ha potuto dargli un documento di identità: essendo figlio di una donna italiana, è anche lui italiano. In Italia sono iniziati i problemi, sia per il doppio cognome ma soprattutto perché risultava figlio di due donne su tutti i moduli spagnoli che abbiamo allegato alla richiesta di trascrizione. Inizialmente ci sembrò impossibile: il consolato ci spiegò che altre coppie di donne nella stessa situazione avevano messo tutto nelle mani di avvocati, e dopo mesi di attesa avevano ottenuto la trascrizione e il documento di identità. Dopo un mese di lotta e denuncia della situazione, il sindaco di Napoli ha deciso di trascrivere l’atto di nascita rispettando quello spagnolo, riconoscendo quindi legalmente anche me come madre di Ruben. Non era mai successo prima in Italia, a noi è sembrato un gesto di grande apertura e umanità.
Dopo poco tempo però, il Prefetto di Napoli ha deciso di cancellare in parte la trascrizione, privandola dei diritti di madre. Questo concretamente cosa comporta?
Con questa mossa sono stati violati i miei diritti, perchè sostanzialmente ora io non sono nessuno. Ma soprattutto sono stati calpestati quelli di Ruben, per la seconda volta. La legge italiana lo aveva già lasciato senza documento per due mesi. Concretamente, io in Italia non potrei accompagnarlo a scuola, se stesse male i medici non potrebbero parlare con me, se io venissi a mancare non potrebbe ereditare niente da me e se mancasse Daniela, lui potrebbe non rimanere con me.
Secondo lei perché l’Italia è uno dei pochi Paesi che ancora non possiede una legge che tuteli le coppie omosessuali?
Per vari motivi. Il primo è che le persone al governo, quelle che prendono decisioni, hanno una mentalità molto patriarcale che non permette loro di concepire che amore e famiglia, hanno mille forme. Oltre a non poterlo concepire, penso che non gliene importi un granché. Sommate a questo tutti i giochi e i dispetti che si fanno fra di loro i tre partiti principali. L’ultima cosa a cui pensano, è ai cittadini di carne e ossa, alle realtà che ci sono in Italia.
Che cosa è per lei la famiglia?
E’ un insieme di persone che hanno cura le une delle altre. Non è scontato che debbano esserci legami di sangue e relazioni di coppia. Per come la vedo io, è un concetto molto diverso a seconda del contesto. Del resto la storia stessa ce lo insegna: pochi secoli fa le famiglie e i legami familiari non erano certo come lo sono ora! La mia famiglia è composta da me, mia moglie, Ruben e la nostra gatta.
Quale futuro vorrebbe per il suo piccolo Ruben?
Un futuro pieno di amore, di rispetto e di diversità. Vorrei che sulla sua famiglia gli facessero solo domande e che mai emettessero giudizi. Vorrei che girasse il mondo ma anche che vedesse un’Italia che cambia in meglio, che progredisce.
© RIPRODUZIONE RISERVATA