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C’è una scrittura che nasce dal cuore di un luogo. E c’è la scrittura di Angelica Grivel, cagliaritana, che prende forma dalla Sardegna e dai suoi paesaggi, dai suoi silenzi e dalle sue luci, intrecciandosi con una riflessione profonda sulla vita e sull’animo umano. Nei suoi romanzi, la realtà esterna e l’introspezione si fondono, dando vita a personaggi complessi e a storie che parlano di fragilità, crescita e bellezza nascosta.
«Ho sempre trovato le radici della scrittura nell’isola: mi ci aggrappo, lei invade me. A volte si mostra ingrata, l’avverto a tratti cieca nei miei confronti, ma infine so di viverla incoercibilmente come terra di permanenza – mai di viaggio», racconta Grivel. La Sardegna diventa così non solo sfondo, ma presenza viva che modella i suoi personaggi e la sua narrazione.
Formata in filosofia, Grivel utilizza il pensiero critico come guida nella scrittura: «Forse la filosofia, intesa almeno come metodo di pensiero, è entrata in me così capillarmente da agirmi dentro in maniera quasi inconsapevole: mi fa da lanterna subacquea nelle escursioni tra le gole degli abissi narrativi, ne sfrutto lo straordinario potere di smuovere il pregiudizio, di costringere a slanciare lo sguardo sulle cose girandoci attorno, per vederle in modi sempre diversi, nuotando da una prospettiva all’altra».
Questa visione filosofica accompagna anche l’attenzione alle fragilità umane, tema centrale del suo secondo romanzo, L’anello debole: «Devo usurpare le fragilità per poi ipotizzare la luce. Non sempre le spaccature dell’umano sono sintomo di frattura: a volte il bello passa per le crepe, voglio coglierlo. Altrettanto mi piace sconsacrare il ridicolo mosciume nei grandiosi fasti del nulla».
La scrittura di Grivel nasce dall’incontro tra mondo interiore e realtà esterna: «Scrivere, per me, è creare una treccia di entrambi gli universi. Perché di universi si tratta: quello interiore, quello fuori. Mi viene naturale scassinare le introspezioni, mi attrae come una calamita, ma questo può succedere solo nell’istante in cui incontro la realtà. È una collisione: prima punto il fuoco sui fatti, su una porta che sbatte, su un guizzo d’invidia negli occhi, sull’omaggio di un sorriso di uno sconosciuto. Poi m’immergo».
Alla base della sua scrittura c’è anche un legame personale profondo: «L’episodio fondante della mia scrittura è mia madre: se lei non mi avesse osservata, investendo il sogno su di me dal mio primo battito di vita, non avrei incontrato la scrittura. O la disciplina imprescindibile per votarmici».
Nei suoi romanzi, come L’estate della mia rivoluzione, Grivel riversa parti di sé nei personaggi: «Impossibile non farlo, nel momento in cui estraggo da me distillati emotivi da destinare alle varie anime che popoleranno le mie pagine. Eppure, incontrare i miei personaggi è sempre urtare l’imprevisto: arriva un momento in cui li vedo vivere senza il mio controllo. La cosa più sorprendente dello scrivere è infine sempre questo, il pendolo continuo tra onnipotenza creatrice e l’assoluta fedeltà al dominio imposto dalle parole».
Il lavoro di Grivel è intenso e carico di emozioni: «Più che un peso, lo vivo come un fortunale. O un cielo elettrico: fulmini addosso come schegge. È spesso soverchiante. Ma lo assumo anche come un privilegio; non accettarlo sarebbe come privarsi dell’ossigeno».
Nonostante la forza delle emozioni che esplora, la scrittrice immagina le sue storie anche su altri media: «Mi è capitato di avvicinarmi a proiettare quanto scrivo in altri linguaggi, specie quello cinematografico. Ho alte ambizioni; ma poiché quasi sempre la realtà sorprende e non è simmetrica alle attese, quelle traduzioni figurative rimangono, al momento, ferme allo statuto di visione. Credo di dover trovare la squadra di artisti perfetta per innestare un progetto del genere con piena fiducia reciproca e in armonia senza inciampi. E magari per lasciarmi meravigliare».
Il suo consiglio per i giovani autori sardi è chiaro e diretto: «Leggere! Fortissimamente. Leggere in modo accorto, con occhio rapinoso, praticando il gusto lento e passionale dei viaggi tra le pagine. Così si crea l’incantesimo: sono i libri a forgiare te, soprattutto a tua insaputa».
Sulla notorietà ottenuta da giovanissima, Angelica riflette con introspezione: «Sono un’intimista. Vivo tutto con sguardo ombreggiato dalla scure di un certo disincanto. Gli ultimi miei cinque anni di vita hanno imposto che io bussassi al petto, spremessi il cuore e lo riponessi a casa una volta sicura di aver lasciato evadere il dolore: ho scritto. Mi sento comunque ancora capace di meraviglia».
Con radici sarde, filosofia e una profondità emotiva straordinaria, Angelica Grivel costruisce una scrittura che esplora la vita con delicatezza e intensità, intrecciando introspezione e realtà in un equilibrio sorprendente tra fragilità e bellezza.