La star del cinema Charlie Sheen annuncia in tv: “Sono sieropositivo”

La Sardegna è ricca di talenti, ma spesso non abbastanza possibilità per farli emergere. Giovani capaci, appassionati, intraprendenti. Come Simone Russo, classe 1999, originario di Sestu, alle porte di Cagliari. Ha iniziato a caricare video su YouTube a 14 anni, da solo, con una videocamera e tanta curiosità. Oggi vive a Milano, è uno degli youtuber tech più seguiti d’Italia con oltre 200.000 iscritti e lavora come talent manager per altri creator digitali.
Una storia di passione e determinazione, ma anche una domanda aperta: perché chi ha talento in Sardegna è spesso costretto ad andare via per inseguire i propri sogni?
Nel 2013, a soli 14 anni, hai aperto il tuo canale YouTube. Cosa ti ha spinto a iniziare? E perché proprio il mondo del tech?
Ho iniziato principalmente perché c’era molto poco da fare. Ero a scuola, andava anche abbastanza bene, quindi me la potevo prendere con calma. Ma vivendo in un paesino vicino Cagliari, era difficile spostarsi… la solitudine si sentiva. Seguivo tanto YouTube, soprattutto il mondo tech, e un giorno ho pensato: “Ma sai che c’è? Potrebbe essere simpatico provarci”. Così ho caricato i miei primi video — ancora online, purtroppo — con qualità terribili. Forse dovrei toglierli (ride). È stato il mio primo vero tentativo, e sono partito proprio col tech perché è sempre stata la mia passione. Ero l’informatico della famiglia: quando c’erano problemi, gli altri soffiavano sulle schedine, io cercavo di risolvere davvero. Ho avuto il mio primo computer a tre anni, perché i miei lavoravano fuori casa… è stata una conseguenza naturale.
Quando ti sei accorto che era la tua strada?
È stato semplice: quando sono arrivati i primi risultati. All’inizio i video li vedevamo io, mia madre e i parenti. Poi i compagni di scuola, e poi… i primi commenti di persone sconosciute. Quando qualcuno che non ti conosce ti scrive, capisci che forse potrebbe diventare qualcosa di serio. È successo pochi mesi dopo aver iniziato.
Il tuo modo di comunicare è cambiato molto in questi 10 anni. Come l’hai vissuto, anche considerando il cambiamento post-pandemia?
Il nostro lavoro si basa molto sui trend. E il mondo è cambiato tantissimo, soprattutto nel modo in cui consumiamo contenuti. Prima andavano video lunghi, esplicativi. Oggi l’attenzione è passata da minuti a secondi. Devi stare al passo, cambiare modo di comunicare, essere più diretto e veloce. Non è tanto il linguaggio a cambiare, ma come lo usi. Ogni sei mesi tutto si stravolge, e devi adattarti.
Come sei arrivato al lavoro che fai oggi come talent manager? Cosa ti ha portato a seguire anche altri creator?
Dopo l’ITIS Informatico a Cagliari, mi sono trasferito a Padova per studiare marketing. Lì ho iniziato a lavorare con alcuni creator singoli, aiutandoli con i profili social. Da uno sono diventati due, tre, dieci… poi ho iniziato a lavorare con le agenzie, fino a quella attuale, dove seguo solo alcuni talent selezionati. È un lavoro che mi appassiona, perché credo che non ci sia talent manager migliore di chi è anche talent. Se fai anche tu quel lavoro, capisci davvero i bisogni dell’altro. L’università non ti insegna queste cose, solo l’esperienza diretta lo fa. Seguo anche Alberto, sì, Matteo me l’ha detto!
Nel 2021 arrivi a Milano, dopo l’esperienza di Padova. Cosa ti ha colpito di più appena arrivato?
A Padova ho frequentato l’università, ma non l’ho vissuta appieno, anche per via della pandemia. Milano invece è una città vera, viva. La cosa che mi ha colpito è la velocità: tutto è frenetico. Se non impari a conviverci, ti sovrasta. E poi, da sardo, mi ha colpito il fatto che… qua funziona tutto. Funziona davvero. Non solo rispetto a Cagliari o alla Sardegna, ma rispetto a gran parte d’Italia. In Sardegna da turista è un sogno. Ma se ci vivi, nei mesi non turistici, vedi la desolazione. Anche solo Internet: sembra una banalità, ma se non puoi fare una call perché la connessione non regge… è un problema. A Sestu, dove stavo io, bastava mezz’ora fuori casa per vedere 50 persone — e conoscerle tutte. Milano invece è networking continuo, ogni giorno conosci qualcuno di nuovo.
Dal punto di vista professionale, quanto ti ha influenzato la Sardegna?
Poco, purtroppo. Per studiare ho scelto di andare via. E nel mio lavoro online, la distanza si sentiva. All’inizio, quando mi mandavano i primi prodotti da recensire, succedeva che usciva uno smartphone il 10 settembre e tutti lo ricevevano quel giorno. Io lo ricevevo dopo due settimane. Non per questioni di numeri, ma per la spedizione. Mi dicevano: “Se vieni a Milano a ritirarlo, ce l’hai in giornata”. Ricordo ancora il lancio dell’iPad 4… l’avevo ordinato solo per farci un video, ma mi è arrivato un mese dopo. Non aveva più senso, l’ho restituito. Ora le cose vanno meglio, ma alcune aziende all’inizio rifiutavano di collaborare appena sentivano “Sardegna”.
Invece, da sardo, cosa ti porti dentro e cosa ti manca di più?
Beh… con una milanese accanto a me, lo dico piano! (ride) La differenza più grande è l’empatia. L’approccio tra le persone è diverso. In Sardegna è più caloroso, più disponibile, più “voglio darti una mano”. Meno freddo. Forse anche perché, vivendoci, incontri le stesse persone per anni. Mi manca tanto anche il mare. La scorsa settimana ero in Francia, vicino al mare, con un tempo orribile… ma ho sentito una nostalgia assurda. Prima tornavo in Sardegna ogni due mesi. Adesso, tra impegni, Natale, eccetera… è dall’estate scorsa che non torno. È diventata “terra di vacanze”.
Dal tech alla musica: studi canto da quando hai cinque anni. Che ruolo ha oggi la musica nella tua vita?
Questa è una cosa che in realtà collega profondamente alla Sardegna. Canto da quando ho memoria, ed è sempre stato parte della mia quotidianità, sia come studio sia come attività vera e propria: cantavo nei locali, facevo serate, vivevo la musica ogni giorno. In Sardegna, soprattutto nella zona di Cagliari, c’è una vera e propria cultura del piano bar e della musica dal vivo: ci sono decine di ristoranti che propongono serate musicali ogni giorno, dal lunedì alla domenica, senza pause. Quando mi sono trasferito, pensavo che a Milano questa cosa sarebbe esplosa ancora di più. Dicevo: “Farò mille serate, ci sarà tantissima richiesta, conoscerò tante persone…” E invece no. Qui è tutto molto diverso: la musica dal vivo esiste, ma è vissuta come un evento. O sei già a un certo livello, o è difficile entrare nei locali e dire: “Ehi, noi siamo un gruppo, vogliamo animare la serata!”.
Ora, purtroppo, ha un ruolo molto più marginale nella mia vita. Prima facevo almeno una o due serate a settimana, ora sono mesi che non canto dal vivo. È un po’ triste, perché mi manca. Ma è proprio la cultura musicale ad essere diversa: al Nord, la musica dal vivo non è parte della routine quotidiana come lo era per me in Sardegna.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi obiettivi personali e professionali? Come ti vedi tra dieci anni? E che ruolo ha Milano in tutto questo?
Rispetto a due anni e mezzo fa, è cambiato tutto. Onestamente, all’inizio non mi vedevo a Milano, anzi, mi vedevo probabilmente all’estero. Non per questioni fiscali, ma proprio per una voglia di esplorare, vivere altri posti. Ora invece, per una serie di motivi — in primis il lavoro che ho trovato, l’agenzia Heroes Valley — vedo Milano nel mio futuro. È una città fondamentale per il mondo della comunicazione, che è il mondo in cui mi vedo. Non so ancora in quale veste: sicuramente continuerò a creare contenuti online, ma anche a supportare altri creator, a lavorare dietro le quinte.
Milano è il cuore di tutto questo: la comunicazione in Italia si muove qui. Certo, il settore è talmente veloce che tra dieci anni potrebbe essere tutto diverso — tra intelligenza artificiale e nuove tecnologie, non possiamo sapere se tutto quello che stiamo costruendo oggi esisterà ancora. Però sì, Milano sarà centrale. Anche se porterò sempre nel cuore la mia Sardegna.
E se un giorno decidessi di tornare in Sardegna e continuare a svolgere questo lavoro?
Oggi è assolutamente fattibile. Conosco persone che lavorano nella comunicazione da Bali o da altre parti del mondo, quindi sì, tecnicamente si può fare anche dalla Sardegna. Il limite vero è il networking: molti eventi e opportunità sono ancora legati al “vedersi di persona”. E spostarsi dalla Sardegna a Milano per un evento, rispetto a farlo da Roma, è tutta un’altra storia — c’è l’aereo, i costi, la logistica. D’altra parte, vivere in Sardegna significa anche avere una qualità della vita molto diversa: i ritmi sono più lenti, c’è meno pressione sociale, respiri aria migliore, mangi meglio. Tutto questo fa bene anche alla salute, fisica e mentale. Quindi sì, oggi non è il momento. Ma se un domani facessi solo il creator, potrei pensarci. Ci sono tanti aspetti positivi che mi farebbero dire “perché no?”.
Simone Russo è uno dei tanti giovani sardi partiti per inseguire un sogno, senza mai dimenticare le proprie radici. La sua storia dimostra che, con passione e costanza, anche da un piccolo paese si può arrivare lontano. Ma mostra anche quanto talento ci sia in Sardegna — e quanta strada ci sia ancora da fare per offrire ai giovani le opportunità che meritano.
Articolo di Giuseppe Piredda