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Un Comune al giorno, paesi di Sardegna: Pimentel, tradizione e archeologia a portata di mano.
Pimentel, dove la storia respira tra le colline della Trexenta. Nel cuore della Trexenta, terra fertile della Sardegna centro-meridionale un tempo considerata il granaio di Roma, sorge Pimentel, piccolo centro agricolo di circa milleduecento abitanti, immerso in un paesaggio morbido e generoso fatto di colline coltivate a frutteti, orti, cereali e vigneti, dove tradizione e archeologia si intrecciano in ogni angolo del territorio.
Il suo nome in lingua campidanese è Pramantellu, e il paese racconta ancora oggi le tracce della sua nascita avvenuta attorno al 1670, quando due contrade divise dal torrente Funtana Brebeis — Nuraxi e Saceni — si unirono a formare un solo centro abitato, che conserva l’autenticità delle sue origini. Nel cuore del paese si erge la parrocchiale della Madonna del Carmine, edificata sul finire del Seicento, che custodisce un altare marmoreo ottocentesco e un raro organo artigianale, elementi che parlano di fede e artigianato tramandati nel tempo, mentre le celebrazioni dedicate alla patrona a metà luglio, insieme all’antichissima festa de su Cramineddu e alla sagra de s’Accodiu, animano il paese con processioni in abiti tradizionali e profonde manifestazioni di identità collettiva. A febbraio si svolge la processione per la Madonna di Lourdes, che conduce fino alle grotte di sa Ruta, ulteriore segno di una spiritualità radicata nel territorio.
Ma Pimentel è anche custode di uno dei patrimoni archeologici più affascinanti e misteriosi dell’Isola: lungo la strada per Guasila si incontrano due straordinarie testimonianze dell’epoca prenuragica, risalenti al periodo compreso tra il Neolitico recente e l’età del Rame, tra il 3200 e il 2000 a.C., ovvero la domu de Janas di Corongiu e la necropoli de s’Acqua Salida. Nella prima, una singola tomba scavata nella roccia con pozzetto d’accesso, anticella e cella principale, si scopre un’incisione ancora visibile e marcata in rosso, interpretata come la raffigurazione del volto della Dea Madre — naso e occhi che osservano il defunto — mentre altre decorazioni simboliche arricchiscono le pareti interne. A pochi passi, nella necropoli scavata nei due massi di arenaria del rilievo di Pranu Efisi, si dispiega un vero e proprio manuale di architettura funeraria prenuragica: nicchie, pilastri, colonne, banconi per le offerte, vasche per le abluzioni rituali, incassi per i portelli e tracce di pittura rossa che raccontano riti, credenze e la centralità del culto della vita e della morte. La tomba I colpisce per la sua articolazione: un lungo corridoio introduce all’anticella con portello dipinto, che conduce a tre camerette sepolcrali; altre due tombe presentano decorazioni a rilievo che imitano le travi delle antiche capanne, mentre in una parete ipogea emergono protomi taurine, chiara evocazione della forza maschile e della fertilità, accanto alla figura della Dea Madre, insieme simboli della vita e della fecondità. Nelle domus sono stati rinvenuti reperti risalenti all’epoca repubblicana romana e all’alto medioevo, a conferma della continuità di presenza e culto in questi luoghi. E proprio questa stratificazione — agricola, storica, spirituale e archeologica — rende Pimentel un luogo unico: qui tutto parla di una Sardegna profonda e autentica, dove ogni pietra, ogni tradizione, ogni linea del paesaggio racconta una storia che merita di essere ascoltata.