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Il 19 luglio 1992, in via D’Amelio a Palermo, un attentato mafioso spezzò la vita del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta. Tra loro c’era Emanuela Loi, una giovane poliziotta sarda che, quel giorno, entrò nella storia — e nella memoria collettiva — come la prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio.
Nata a Cagliari il 9 ottobre 1967 e cresciuta a Sestu, Emanuela aveva scelto la divisa seguendo l’esempio e il desiderio della sorella Maria Claudia, che però non era riuscita ad entrare in Polizia. Dopo il diploma magistrale, Emanuela superò il concorso e nel 1989 entrò nella Polizia di Stato, frequentando il 119° corso alla Scuola Allievi Agenti di Trieste. Due anni dopo fu assegnata a Palermo, città dove si stabilì presso il complesso delle Tre Torri, in viale del Fante, alloggio per poliziotti e carabinieri fuori sede.
Fin dall’inizio, dimostrò un impegno esemplare: le vennero affidati incarichi delicati come il piantonamento a Villa Pajno, residenza dell’onorevole Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano Grassi, vedova di Libero Grassi, e la vigilanza su Francesco Madonia, uno dei boss più noti di Cosa Nostra.
Nel giugno del 1992, a pochi giorni dalla strage di Capaci, Emanuela fu chiamata a far parte della scorta del giudice Paolo Borsellino. Era consapevole dei rischi, ma non aveva paura: cercava di rassicurare la famiglia, dicendo che non le sarebbe successo nulla. Pochi giorni dopo, il 19 luglio, l’autobomba di via D’Amelio pose fine alla sua giovane vita. Aveva 24 anni. Con lei morirono i colleghi Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, oltre al magistrato che stavano proteggendo.
Il suo sacrificio fu riconosciuto dallo Stato: il 5 agosto 1992 le fu conferita la medaglia d’oro al valor civile alla memoria, per il coraggio e la dedizione dimostrati fino all’estremo gesto.
Emanuela è sepolta nel cimitero di Sestu, il paese in cui aveva vissuto. Oggi, a oltre trent’anni da quel giorno, il suo ricordo è più vivo che mai. Sua sorella Maria Claudia continua a raccontarne la storia nelle scuole, in incontri con i giovani, affinché il suo nome non sia solo quello di una vittima, ma un simbolo di impegno civile e di lotta alle mafie. A tenerne viva la memoria è anche l’associazione Libera, che la ricorda ogni anno tra le vittime innocenti delle mafie.
Emanuela Loi era molto più di un’agente: era una giovane donna che credeva nel dovere, nella giustizia, nello Stato. La sua storia resta un esempio di coraggio silenzioso, di chi ha scelto di servire senza clamore, ma con una forza incrollabile.