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La bellezza dell’Argentiera, tra silenzi e miniere abbandonate.
Alla scoperta dell’Argentiera: il silenzio delle miniere e la rinascita di un luogo sospeso nel tempo.
Nel cuore della Nurra, estrema propaggine nord-occidentale della Sardegna, si apre uno dei paesaggi più affascinanti e malinconici dell’isola: l’Argentiera. Frazione di Sassari, situata tra Alghero e Stintino, questa località custodisce la memoria di una lunga epopea mineraria e la suggestione di un borgo fantasma che resiste al trascorrere del tempo. L’Argentiera si presenta come un museo a cielo aperto, dove la bellezza selvaggia della costa si intreccia alle tracce di un passato industriale ormai silenzioso. L’impatto visivo è sorprendente: antichi impianti di estrazione abbandonati, edifici in rovina e gallerie scavate nella roccia si fondono con le sfumature argentate delle falesie e con i riflessi del mare, creando un’atmosfera sospesa tra memoria e natura. Questo scenario, che nel 1968 fece da set cinematografico per la scena iniziale del film *La scogliera dei desideri* con Betty Taylor e Richard Burton, continua oggi ad attirare escursionisti e amanti della storia industriale.
Dopo la chiusura definitiva delle miniere negli anni Sessanta, il sito è diventato uno dei più importanti esempi di archeologia industriale d’Europa, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’Umanità e inserito nel parco geominerario della Sardegna. Il nome stesso del borgo evoca la sua vocazione originaria: argento, piombo e zinco argentifero erano i minerali che per secoli hanno dato vita a un’intensa attività estrattiva, già nota ai Romani e poi ai Pisani nel Medioevo. Il XIX secolo segnò una nuova fase di sfruttamento, con l’arrivo di imprenditori e speculatori, tra cui lo scrittore francese Honoré de Balzac, che nel 1838 tentò un’esplorazione rimasta senza esito. La prima concessione mineraria venne affidata ad Angela Tola, ma furono le società successive a dare impulso all’attività, costruendo infrastrutture, gallerie e un intero villaggio per i lavoratori. Tra fine Ottocento e inizio Novecento la miniera raggiunse il suo massimo splendore: quattrocento operai lavoravano senza sosta, le gallerie vennero ampliate e dotate di binari, un nuovo pontile collegava la costa ai depositi, e per la prima volta si cominciò a estrarre minerali sotto il livello del mare, sino a quota meno trecentotrentatré metri. Nacque così una vera comunità, con asilo, infermeria, foresteria e spaccio, segno di un progresso che però non cancellava la fatica e i pericoli quotidiani del lavoro in miniera. A questo mondo duro e affascinante si legano numerose leggende: racconti di ombre che si aggirano nelle gallerie, di suoni metallici provenienti dalle profondità, come se le anime dei minatori morti continuassero a vegliare sul luogo dove vissero e morirono. Con l’avvento del Novecento e la gestione della società Pertusola, il villaggio si arricchì di nuovi edifici: una chiesa dedicata a santa Barbara, patrona dei minatori, un dopolavoro, un cinema e la grande laveria in legno pitch-pine, oggi simbolo dell’Argentiera e tra i monumenti minerari più rappresentativi d’Italia.
Dopo la Seconda guerra mondiale si raggiunse il picco di residenti, ma la crisi dell’industria estrattiva portò lentamente al declino: nel 1964 la produzione cessò definitivamente e gli impianti furono chiusi tre anni dopo. Da allora il silenzio è calato sulle miniere, ma non sulla loro memoria. Negli ultimi decenni sono stati avviati interventi di bonifica, consolidamento e restauro, che hanno restituito dignità e sicurezza ai vecchi edifici. La laveria e il pozzo sono oggi visitabili, mentre una scalinata panoramica collega la chiesa al mare, tra terrazzamenti fioriti e scorci mozzafiato. Ogni estate, in questo scenario, si tiene un festival letterario che rinnova il legame tra arte e paesaggio. A partire dal 2019, grazie al progetto Open MAR, l’Argentiera si è trasformata in un vero e proprio museo minerario a cielo aperto, dove il passato incontra la tecnologia: percorsi tematici guidano i visitatori tra le case e gli impianti, arricchiti da installazioni digitali e contenuti multimediali che raccontano la storia di chi, in quelle viscere di roccia, trovò lavoro, speranza e destino. Oggi l’Argentiera vive di un nuovo silenzio, non più quello della fatica, ma quello della contemplazione. Un luogo dove la natura e la memoria si fondono in un equilibrio fragile e potente, testimonianza di un tempo che fu e di una Sardegna capace di riscoprire se stessa attraverso le proprie ferite.