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Che cosa è “sa cadira de paralimpu”?
Sa cadira de paralimpu, un’usanza andata perduta che faceva ridere quasi tutti..
C’era una volta, nelle case del Campidano, un oggetto tanto umile quanto geniale: sa cadira de paralimpu. Non un trono, non una reliquia, ma una sedia. Eppure, in quella sedia si concentravano ironia, saggezza popolare e una buona dose di teatro domestico. Oggi il suo nome sopravvive più come un ricordo, una “sanza andata perduta che faceva ridere quasi tutti”, ma dietro questa semplice parola si nasconde una delle storie più curiose e divertenti della tradizione sarda.
Nel Sud Sardegna, la parola cadira indica la sedia. Già pronunciarla, con quella “r” vibrante e la “a” aperta, è un piccolo viaggio linguistico che rivela subito le proprie origini: chi sa cos’è una cadira probabilmente ha trascorso almeno un Natale in un paese campidanese, chi invece non lo sa ha ancora tutto il tempo per imparare. Perché il sardo, oltre a essere una lingua antica, è anche una miniera di ironia, doppi sensi e giochi di parole.
La cadira, però, non è solo un oggetto del quotidiano: è quasi un simbolo culturale. Nei tempi passati veniva costruita con la ferula, una pianta che cresce ovunque nell’isola, e impagliata con giunchi intrecciati a mano. Niente plastica, niente bulloni, solo mani esperte e materiali della terra. Ogni famiglia ne aveva più d’una, e ognuna raccontava qualcosa: la cadiredda per i bambini, la cadira de andai a cresia per la chiesa — una specie di genuflettorio portatile pensato per affrontare con dignità le messe più lunghe.
E poi c’era lei, sa cadira de paralimpu, la più temuta e famosa di tutte. Il nome faceva già ridere, ma la scena che la accompagnava era ancora più irresistibile. Nelle usanze di un tempo, quando un ragazzo voleva chiedere in sposa una ragazza, non si presentava da solo: mandava un emissario, su paraninfo, una sorta di ambasciatore d’amore. Ma se la famiglia della ragazza non approvava il pretendente, preparava per l’inviato una sedia speciale, quella traballante, un po’ storta, pronta a cedere al primo peso. Appena il poveretto si sedeva – patatrac! – cadeva rovinosamente a terra. Nessuno diceva una parola, ma il messaggio era chiarissimo: la risposta era “no”. Un linguaggio universale, immediato, molto prima dei messaggini e delle spunte blu.
Sa cadira de paralimpu era dunque molto più di un semplice arnese: era un gesto, un codice, una risata condivisa. Una piccola commedia del costume sardo, dove anche una sedia sgangherata poteva diventare protagonista di un rifiuto elegante e indimenticabile. Oggi quel tipo di umorismo sopravvive nei racconti dei nonni e nei modi di dire, e chi ancora ne conosce il significato sa che dietro ogni cadira c’è un mondo fatto di artigianato, ironia e ingegno popolare.
La prossima volta che in Sardegna sentirete qualcuno parlare di una cadira, sorridete: forse non è solo una sedia. Forse è un frammento di storia, un modo di ridere e comunicare tutto sardo, dove anche una caduta può trasformarsi in una battuta da ricordare per tutta la vita.