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Mentre un primo gruppo di 26 italiani che si trovavano a bordo della Global Sumud Flotilla sta lasciando Israele con un volo charter diretto a Istanbul, resta ancora incerta la sorte della giornalista sarda Emanuela Pala, 38 anni, inviata del programma Piazzapulita di La7.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato che i connazionali rilasciati sono stati trasferiti alla base aerea di Ramon e partiranno dall’aeroporto di Eilat. In Turchia, saranno assistiti dal Consolato Generale d’Italia a Istanbul, che garantirà anche documenti provvisori di viaggio. Tuttavia, non è ancora chiaro se tra loro ci sia anche Emanuela Pala, e i familiari attendono con crescente ansia notizie ufficiali dalla Farnesina.
Secondo quanto riferito dal ministro, altri 15 italiani rimangono nella prigione israeliana di Ketziot, nel deserto del Negev. Si tratta di coloro che hanno rifiutato di firmare un modulo di rilascio volontario, un’autodichiarazione che — secondo quanto trapelato — implicherebbe l’ammissione di ingresso illegale in Israele. «Dovranno attendere l’espulsione coatta per via giudiziaria, che avverrà la prossima settimana», ha precisato Tajani, assicurando di aver dato disposizioni all’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv «per garantire il pieno rispetto dei diritti dei connazionali detenuti».
E proprio attorno a quel modulo si concentra la preoccupazione dei familiari di Emanuela Pala, che non sanno se la giornalista abbia accettato o rifiutato di firmarlo, né in che condizioni si trovi al momento. Da due giorni, non ci sono contatti né comunicazioni ufficiali, e il silenzio alimenta timori sempre più forti.
Emanuela Pala era partita dal porto di Catania a bordo della flottiglia umanitaria diretta verso la Striscia di Gaza, con l’obiettivo di documentare la consegna di aiuti essenziali alla popolazione civile. Il convoglio, composto da attivisti, medici e volontari di oltre 30 Paesi, è stato intercettato e abbordato dalla marina israeliana prima di raggiungere le coste di Gaza.
La reporter sassarese aveva raccontato il viaggio passo dopo passo sui suoi profili social, fino all’ultimo aggiornamento — un video registrato a bordo, poco prima del fermo. Da quel momento, nessun segnale.
Ora, la sua storia è diventata un caso diplomatico e umanitario, simbolo di una vicenda più ampia che coinvolge centinaia di persone detenute come “clandestini” in Israele. In attesa di conferme ufficiali, la famiglia vive ore di apprensione, sperando che Emanuela possa presto tornare libera e raccontare in prima persona ciò che sta accadendo.