Lui un anno fa si ammala, lei, la sua compagna, non sapendo che si tratta di covid lo accudisce. Il test fatto successivamente però rivela che mentre lui ha contratto il virus, lei è negativa.

Un gruppo di oltre 250 laboratori in tutto il mondo coordinati dalla Rockfeller University di New York, tra i quali anche il policlinico Tor Vergata stanno portando avanti una ricerca proprio per capire se davvero ci siano dei geni che rendono alcune persone immuni al virus.

La ricerca si concentra sull’ospite, uno dei tre elementi che insieme all’elemento patogeno e all’ambiente costituiscono i 3 fattori che determinano una pandemia. Per questo è stato studiato il Dna di quelle persone che contagiate hanno sviluppato sintomi gravi, e poi i dati vendono correlati statisticamente in base all’età e al sesso.

Si è scoperto che circa il 12 percento di queste persone aveva la caratteristica comune di non produrre interferone. Visto il risultato la ricerca è stata orientata a indagare se anche chi sembra “resistente”, cioè non si infetta, ha delle caratteristiche genetiche comuni. Perché non si può escludere, i dati sono ancora troppo pochi, che invece chi apparentemente è resistente in realtà si sia immunizzato precedentemente attraverso il sistema immunitario cellulare che mantiene la memoria nel tempo.

Mentre per ora si sa che gli anticorpi sviluppati dopo il contagio rendono immuni solo per 6-8 mesi.

A Monastir, il volto sorridente di Manuela Murgia ora vive sui muri grazie all’intensa opera dello street artist Manu Invisible, realizzata per ricordare la giovane trovata senza vita il 5 febbraio 1995 nel canyon di Tuvixeddu a Cagliari. Un’opera che grida giustizia e che – come sottolinea l’associazione Giustizia Per Manuela Murgia – «dà voce a una storia che non può e non deve essere dimenticata».

Sullo sfondo del murale, tre frasi nette, forti, simboliche:
“Per la libertà che le avete negato”,
“Per la bocca che le avete tappato”,
“Per la vita che le avete spezzato”.

«Sono parole che parlano per lei», afferma l’associazione, «per Manuela, a cui è stata negata la possibilità di vivere, di parlare, di scegliere. Questo murale è il nostro modo di restituirle visibilità e dignità, dopo anni di silenzio e indifferenza».

L’opera è stata inaugurata insieme alle sorelle e al fratello di Manuela, in un momento carico di emozione e memoria condivisa. Il murale sorge su un muro gentilmente concesso dalla signora Angela Pinna, a cui l’associazione rivolge un «grazie di cuore»: «È anche grazie a lei se oggi questo spazio parla, denuncia e ricorda». Un ringraziamento sentito va anche alla famiglia Mereu, in particolare a Sonia e Marta, «che con amore e determinazione hanno reso possibile questa meravigliosa sorpresa», e a Gianluca Lampis per il prezioso supporto. «Grazie anche alla comandante della Polizia Municipale, Francesca Onnis, per la sua presenza e il suo sostegno concreto in questa battaglia di verità», prosegue l’associazione.

Il 7 luglio, intanto, è atteso un passo decisivo nelle indagini: verranno affidate le analisi sui vestiti di Manuela, ritrovati dopo quasi trent’anni. La Procura indaga per omicidio volontario aggravato, e gli inquirenti cercheranno impronte digitali e tracce biologiche che possano finalmente far luce sulle circostanze della sua morte. «Manuela non è più invisibile», conclude l’associazione. «Il suo volto oggi guarda il mondo. E il mondo non può più voltarsi dall’altra parte».