Recensioni. “Il violinista del diavolo” di Marco Conti

E’ stata presentata al pubblico l’ultima fatica letteraria dello scrittore quartese Marco Conti, “Il violinista del diavolo e altre storie”, una serie di racconti editi da Amicolibro. Marco Conti con “Il violinista del diavolo” ci racconta la storia delle storie, proponendo nove racconti
E’ stata presentata al pubblico l’ultima fatica letteraria dello scrittore quartese Marco Conti, “Il violinista del diavolo e altre storie”, una serie di racconti editi da Amicolibro.
Marco Conti con “Il violinista del diavolo” ci racconta la storia delle storie, proponendo nove racconti che ci trasportano in una tangenziale trafficata di emozioni e di sentimenti, dove ci vediamo costretti a fare i conti con le relazioni e le solitudini dei personaggi.
Puntini, i racconti dello scrittore cagliaritano, che uniti tra loro, storia dopo storia, finiscono per raccontarci di noi, delle nostre paure più profonde, dei nostri mostri. E che ci ricordano però, che nella vita, una o mille volte, siamo stati i carnefici. Forse è questa dolorosa consapevolezza l’aspetto della prosa di Marco Conti che più tocca la coscienza del lettore. Il Violinista si apre con una carezza e si chiude un pugno nello stomaco, con una mano indagatrice che esplora le viscere.
Il tempo della narrazione di Conti si dilata e si restringe, va avanti e poi torna indietro. Restiamo attaccati alla gonna del narratore come bimbi che, presi dalla paura, o forse dalla curiosità, si nascondono, dinnanzi agli estranei, dietro alle sottane della madre.
Le storie vengono inanellate senza sosta, si respirano d’un fiato. Quasi in una apnea. Sono carte mescolate abilmente, in quello che più che un gioco di gruppo, arreca il disagio del solitario. Un solitario dove non si vince mai e dove non si può imbrogliare. Un gioco perverso e incredibilmente reale.
L’autore, infatti, dimostra di non avere paura di ferire, di fare male, di essere politicamente scorretto, di disgustare. In questi racconti, basati su episodi realmente accaduti e “vissuti” da Conti nella sua vita professionale di assistente sociale, non c’è spazio per moralismi, perbenismi e fronzoli.
La scrittura è incalzante, viva, piacevolissima. Mai banale, Conti si abbandona in un’altalena di ritmi e sospensioni, in un’osservazione acuta e spesso cinica di questo valzer della vita, fatto di promesse non mantenute, sogni non realizzati, dolori malcelati, solitudini ignorate, tenerezze calpestate.
Ma l’universo di Conti ha anche una fata madrina. La speranza. Che fa capolino qua e là, alleggerendo la sofferenza che si prova nel tenere per mano, durante la lettura, Salvatore, Giampaolo, Serafino, Aurora e gli altri disperati raccontati in queste pagine. Questi angeli caduti, condannati all’inferno di questo mondo. La speranza non li salva, sia ben chiaro, ma si insinua tra le righe della loro storia, quasi impalpabile. Probabilmente per ricordare al lettore che esiste anche la Bellezza a questo mondo.
“Ci sono storie che chiedono a gran voce di essere raccontate dall’inizio. Dal primo respiro, dal primo fiato. Altre che scelgono un frammento da cui partire, il più significativo. Altre ancora che, in un parodosso che fa male, iniziano dalla loro fine” si legge tra le pagine vergate da Conti. E’ un’osservazione acuta e una sorta di promessa da parte dell’autore, che si cimenta, con grande slancio e musicalità, in ognuna delle tipologie. Racconta della vita e della morte e di come vadano a braccetto. Del peso schiacciante dei giudizi. E dei pregiudizi. Delle solitudini nelle quali inciampiamo ogni giorno e davanti alle quali passiamo subito oltre, incollati con lo sguardo al nostro smartphone.
Nove racconti da buttare giù tutte d’un fiato. Come una medicina. Che non ci guarirà.

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