Come abitanti della Sardegna, quanto sappiamo di noi stessi?
Che la scuola e certe sue componenti siano sottovalutate sotto ogni punto di vista è cosa nota, specie in Sardegna, specie quando si parla di storia dei sardi. La stessa importanza della scuola, fondamentalmente, viene trascurata e non sempre ci

storia sarda
Che la scuola e certe sue componenti siano sottovalutate sotto ogni punto di vista è cosa nota, specie in Sardegna, specie quando si parla di storia dei sardi. La stessa importanza della scuola, fondamentalmente, viene trascurata e non sempre ci si pone i giusti dubbi, ad esempio, sull’impostazione che essa dà al nostro modo di vivere e percepire il contesto che ci circonda.
Come abitanti della Sardegna, quanto sappiamo di noi stessi? Non c’è sardo al mondo che non dica che la Sardegna possieda una storia “millenaria”, ma quanti in effetti la conoscono perlomeno a grandi linee? Quanti conoscono almeno una figura chiave della storia sarda? Forse prima di darsi delle risposte, bisognerebbe chiedersi quanto – e come – sia insegnata la nostra storia , ma soprattutto come mai ci sia sempre un’ impostazione, oramai ben nota, che le poche volte che racconta i fatti della nostra storia, riesce sempre a darne una lettura tendenziosa e spesso fuorviante e le conseguenze che questo ha sulla nostra coscienza sarda.
Dopotutto siamo angosciosamente abituati ad essere definiti come popolo eternamente sottomesso e sconfitto; prima dei fenici, poi i romani, poi ancora i vandali e chi più ne ha più ne metta. Ma se prendiamo in mano un testo di storia utilizzato in una 4^ di Liceo Scientifico, che parte dalla seconda metà del 1600 fino all’inizio del XX secolo. Sapete quanto e in quale contesto viene citata la nostra amata isola? Esclusivamente una volta, nel suo ruolo da merce di scambio nelle trattative che portarono alla pace di Utrecht (1713) subito dopo la guerra di successione spagnola. Niente di più. E salta subito all’occhio il peso delle parole, infatti leggiamo “la Sardegna passa sotto la sovranità dei Savoia”. “sovranità”, che bella parola da utilizzare al posto di “dominio”.
Figuriamoci se potesse essere citato un passaggio fondamentale, nonché disastroso, imposta dalla politica dei Savoia ai danni dell’economia sarda, avvenuto un secolo dopo la pace di Utrecht, come l’Editto delle Chiudende (1820), provvedimento che sconvolse la Sardegna, causando molteplici malcontenti più che giustificati.
In parole povere, quando si parla della Sardegna lo si deve fare per forza come di un luogo di sottomissione, terra priva di una civiltà autoctona, collezionando un’infinità di menzogne una dopo l’altra. Dopotutto sarebbe controproducente parlare apertamente della più grande civiltà del Mediterraneo Occidentale nell’Era del Bronzo, della politica portata avanti dai Giudici di Arborea alla ricerca dell’unità nazionale sarda, della Battaglia di Sanluri (1409),di Leonardo Alagon ultimo marchese di Oristano, di Giovanni Maria Angioy e le necessità indipendentiste che portarono alla – sconosciuta -Rivoluzione Sarda, della Congiura di Palabanda (1812), dell’Eccidio di Buggerru che porto poi al primo sciopero nazionale italiano (1904) e così via.

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