Storie dal passato. L’oro di Maria Piras
In passato gli arzanesi coltivavano il grano nelle pianure del salto di Quirra, nei pressi di Serra ‘e Mari. Quelle terre erano molto fertili ma durante l’estate erano frequentate dai Mori che ogni anno rapivano uomini e donne per portarli
In passato gli arzanesi coltivavano il grano nelle pianure del salto di Quirra, nei pressi di Serra ‘e Mari. Quelle terre erano molto fertili ma durante l’estate erano frequentate dai Mori che ogni anno rapivano uomini e donne per portarli in Africa come schiavi. Si racconta, infatti, che un giorno una giovane donna di Arzana di nome Maria Piras vi si recò per attingere dell’acqua da una sorgente vicina al mare chiamata Sa Cannixedda.
Mentre riempiva la brocca, alcuni corsari sbarcarono di nascosto dalla loro nave. La giovane dapprima non si accorse di loro, ma appena si voltò se li trovò improvvisamente davanti. Cercò di fuggire ma i Mori la presero con la forza e la caricarono sulla loro nave. Il marito, vedendo che la moglie non tornava, si preoccupò e andò e cercarla. Appena arrivò alla fontana, vide per terra la brocca dell’acqua rotta e voltando lo sguardo notò la nave corsara che prendeva il largo. Capì allora che era stata rapita dai Mori. Da subito non si diede pace e pensò immediatamente di liberarla. S’imbarcò su di una nave cristiana e si recò in Africa con l’intento di contrattare la liberazione della sua amata. La donna però era stata data in schiava al Re di Tunisi, il quale, vista la bellezza della giovane, non era disposto a cederla facilmente, se non a un caro prezzo. Dopo varie insistenze il marito fu ricevuto dal Re nella sua corte e quando fu al suo cospetto, gli disse:
“ Grazie per avermi accolto. Sono venuto da molto lontano per chiedere la liberazione di mia moglie. Per lei sono disposto a pagare qualsiasi somma”.
Il re ascoltò il poveretto e pensando che non sarebbe mai riuscito nell’impresa gli propose uno scambio:
“ Va bene. Se è questo che vuoi, posso liberarla, ma dovrai portarmi il corrispettivo del suo peso in oro. Ma bada, se non raggiungerai il peso preciso, tua moglie rimarrà con me insieme al tuo oro!”
L’arzanese non si diede per vinto: tornò in Sardegna e andò mendicando di paese in paese raccontando a tutti la sua storia. In molti decisero di aiutarlo, donandogli qualcosa: chi una moneta, chi un anello, chi un orecchino. Fu così che l’uomo raccolse tanto oro da poter riempire un sacco. Prese nuovamente la nave alla volta della Tunisia. Arrivato a Tunisi si recò subito al palazzo reale. Il Re si meravigliò di vederlo e gli chiese:
“Allora, sei riuscito a procurare ciò che ti avevo chiesto?”
L’uomo rispose di sì e il Re fece portare dai suoi servitori un’enorme bilancia a due piatti, su uno era seduta la giovane prigioniera. Alla vista della moglie l’uomo non trattenne le lacrime, ma si fece forza: sollevò il pesante sacco e lo poggiò sull’altro piatto della bilancia. Tuttavia il peso non fu raggiunto per un solo grammo! Il Re, tutto soddisfatto, allora disse:
“ Mi dispiace, non hai portato abbastanza oro! Non posso liberare tua moglie ”
L’arzanese fu colto da un immenso dolore e la moglie scoppiò a piangere. Ma, proprio mentre le guardie lo riaccompagnavano all’uscita, l’uomo si ricordò della fede d’oro che portava al dito. Tornò velocemente indietro, si sfilò l’anello dall’anulare e lo mise sulla bilancia. Il braccio dell’enorme pesa si sollevò superando persino il peso richiesto. A malincuore il Re mantenne la parola e liberò la donna. Grazie a un salvacondotto, marito e moglie poterono tornarono ad Arzana, dove vissero felici e contenti fino alla fine dei loro giorni.

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