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Lo sapevate? Nella Roma imperiale uomini e donne usavano gli schiavi come se fossero “strumenti sessuali”

Lo sapevate? Nella Roma imperiale uomini e donne usavano gli schiavi come se fossero “strumenti sessuali”.

Un’usanza oggi assurda, duemila anni fa era vista come qualcosa di normale. L’avvento del Cristianesimo cambiò completamente le cose.

Per la mentalità romana, uno schiavo era una proprietà della quale disporre come meglio si credeva, anche a livello sessuale. L’importante, come sempre, era rispettare la gerarchia sociale: uomini e donne liberi non potevano lasciarsi penetrare dai propri schiavi né praticare a loro del sesso orale; non dovevano insomma dargli piacere in alcun modo mentre gli schiavi erano obbligati a soddisfare i loro padroni.

Le donne, sempre a causa dell’onore, dovevano rispettare più limiti ma potevano comunque utilizzare le proprie schiave con fini sessuali; e in effetti era preferibile che “usassero” altre donne perché, nel peggiore dei casi, nessuno avrebbe potuto accusarle di essersi fatte penetrare.

I giochi di più raffinato erotismo avvenivano nelle case private.
I più ricchi, infatti, possedevano dozzine di schiavi, ed uno di questi era detto cubicularius. Questo fidatissimo schiavo dormiva per terra, davanti all’uscio della camera da letto dei padroni, e doveva assisterli in tutto, anche durante i rapporti sessuali (versando da bere, o portando una lucerna). Questo è visibile anche in molti affreschi pompeiani.
La società romana aveva un sistema patriarcale in cui il ruolo di genere del maschio è l’autorità primaria, enfatizzata dalla mascolinità “attiva” come premessa di governance, potere e status.
Nel caso delle donne libere di Roma, a volte venivano descritte come “tribas fricatrix”, che significa “colei che sfrega” e “virago”, dal latino vir (virile “uomo), un termine usato per descrivere una donna che dimostra qualità esemplari ed eroiche.

 

In lingua latina schiavo si diceva servus oppure ancillus. Il titolare del diritto di proprietà sullo schiavo era detto dominus. Si ha notizia anche di schiavi posseduti da altri schiavi: in questo caso, formalmente, il primo schiavo (detto ordinarius) non era proprietà dell’altro (detto vicarius), ma faceva parte del suo peculium, l’insieme di beni che il dominus gli concedeva di tenere per sé.

I Romani consideravano l’essere schiavi come una condizione infame ed un soldato romano preferiva togliersi la vita piuttosto che diventare schiavo di un qualsiasi popolo ‘barbaro’ (termine derivante dalla lingua greca, βάρβαρος, con cui prima i greci e poi i romani definivano gli ‘stranieri’, ossia rispettivamente i ‘non greci’ e i ‘non romani’).

La religione romana sosteneva l’accettazione della sessualità, come un aspetto che prosperava la pratica religiosa per migliorare lo stile di vita erotico e definire il potere di un individuo attraverso la forza procreativa del maschio. Tali tradizioni erano un segno di mascolinità attiva, ma non è noto se la tolleranza religiosa possa essere applicabile agli atti omosessuali.
In tutte le fasi storiche di Roma si può riscontrare il fenomeno della schiavitù. L’entità numerica e l’importanza economica e sociale della schiavitù nella Roma antica aumentò con l’espansione del dominio di Roma e la sconfitta di popolazioni che venivano sottomesse e molto spesso rese schiave. Soltanto a partire dal Tardo Impero con la conclusione delle guerre di conquista, l’ascesa al potere di imperatori non italici, la diffusione del Cristianesimo e la concessione della cittadinanza romana a molti popoli barbari (in seguito al loro arruolamento nelle legioni romane oppure al pagamento di tributi), il fenomeno della schiavitù cominciò a declinare e poi estinguersi progressivamente.

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