Folklore, Magia e Tradizione: la storia di Pazzia e delle sue avventure in Sardegna
La leggenda della Pazzia è una delle storie presenti nell'immaginario sardo: si racconta, infatti, che Pazzia era una dea bellissima e molto astuta. Alcuni l'hanno definita dispettosa, altri amante della libertà, quasi tutti concordavano comunque su un punto: era impossibile rimanere immuni al suo fascino.
La leggenda della Pazzia è una delle storie presenti nell’immaginario sardo: si racconta, infatti, che Pazzia era una dea bellissima e molto astuta. Alcuni l’hanno definita dispettosa, altri amante della libertà, quasi tutti concordavano comunque su un punto: era impossibile rimanere immuni al suo fascino.
Secondo le varie leggende, Pazzia era nata a Pauli e aveva l’abitudine di girovagare in Sardegna, spostandosi di paese in paese. Gli abitanti di Pauli la incontrarono per la prima volta nel pozzo sacro di Santa Cristina e rimarvero incantati sia dalla sua bellezza che dal suo carattere spigliato, tanto che decisero di ospitarla nel loro villaggio.
La donna abitava in una piccola casetta, aveva una grande passione per i gatti e, spesso, riceveva diversi ospiti ai quali dispensava consigli in grande quantità. Pazzia aveva un metodo tutto suo per dare un buon consiglio: dopo che l’uomo o la donna le avevano rivolto la domanda, lei affondava il dito indice in un vasetto di terra, una volta estratto, dal colore del dito dipendeva il responso. Addirittura, quando si prospettava qualcosa di sfavorevole, Pazzia si rendeva invisibile e i suoi ospiti rimanevano di stucco.
Un giorno, passato più di un mese dal suo arrivo, Pazzia comunicò ai sui compaesani che intendeva lasciare il paese. La notizia colse di sorpresa in tanti e, ovviamente, seminò lo scontento generale. Vennero chiuse le vie che portavano fuori dal villaggio, ma Pazzia, per nulla preoccupata, si accinse a salutare gli abitanti che l’avevano accolta con affetto, porgendo loro un pezzetto di ferro lungo come un dito, cosicché questi potessero ritrovare la fermezza perduta. Fatto ciò, la donna si tramutò in un avvoltoio e volò via, verso Milis.
Toccato il suolo, Pazzia riprese le sembianze umane e venne immediatamente travolta dal profumo della zagara. Dato che stava bene,decise di riposare. Da quel preciso instante gli uomini del paese divennero laboriosi e le donne assai fredde. Una volta riposata, Pazzia si avviò verso Bauladu, dove seminò pigrizia e vanità.
La donna proseguì il suo cammino e giunse fino a Solarussa: qui non poté fare a meno di apprezzare la vernaccia, le piacque così tanto che si ubriacò e lasciò agli abitanti del paese sia risolutezza che frivolezza. Ripresa dall’ubriacatura Pazzia passò per Oristano e Santa Giusta dove bevve l’acqua dello stagno in cui si immerse e vi depositò tutto il sale rubato dagli altri paesi dove era stata. Si dice che, da quel momento, lo stagno divenne salto e gli abitanti… rimasero senza un briciolo di sale in zucca!
Arrivò fino a Cabras e, proprio in questo territorio, gustò la bottarga insieme al vino nero. Come conseguenza rese gli uomini ubriaconi, attaccabrighe e le donne petulanti. Cabras non la trattenne a lungo, Pazzia così si ritrovò a Riola, dove non riuscì a riposare per colpa delle zanzare. Infine, eccola che varcò il territorio di Seneghe, una tappa che, ancora non sapeva, sarebbe stata l’ultima per lei.
Qui Pazzia riscosse un grande successo: giovani e vecchi si invaghirono di lei, le fecero tanti complimenti e gentilezze, legandosi sempre di più alla bellissima donna. Gli uomini, specialmente quelli più giovani, facevano a gara per chiederla in moglie, ma lei di sposarsi proprio non ne voleva sapere. Assediata dalle richieste e, sospettando che gli abitanti del paese stessero tramando contro di lei, decise di togliersi la vita, utilizzando un’erba sarda che fa morire con il sorriso sulle labbra ( alcuni paragonano tale pianta velenosa alla melissa). Pazzia lasciò in eredità a Seneghe uomini sciocchi, superficiali e donne invidiose.
Un epilogo dolceamaro quello di Pazzia, infatti, la dea pur di mantenere intatta la sua indipendenza decise di togliersi la vita, una scelta ardua ed estrema.
Riguardo la storia della donna ha scritto P. Lutzu in: “La leggenda della Pazzia“, Cagliari, Soc. tip. Sarda, 1914.
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