Lo sapevate? Secondo una leggenda Raimondo Di Sangro fece accecare l’autore del Cristo Velato

Il Cristo velato è una scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino. Conservato nella Cappella Sansevero a Napoli è una delle opere più note e suggestive al mondo. Fu commissionata all'artista da Raimondo Di Sangro, principe di Sansevero e personaggio particolare, circondato da sempre da un'aura maledetta. Secondo le leggende napoletane, infatti, Di Sangro fece uccidere due suoi servi per imbalsamarne stranamente i corpi (il riferimento è alle Macchine anatomiche), ammazzò sette cardinali per ricavare dalle loro ossa e dalla loro pelle altrettante sedie e accecò Sanmartino, autore dell'opera, affinché egli “non eseguisse mai per altri così straordinaria scultura".
Lo sapevate? Secondo una leggenda Raimondo Di Sangro fece accecare l’autore del Cristo Velato.
Il Cristo velato è una scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino. Conservato nella Cappella Sansevero a Napoli è una delle opere più note e suggestive al mondo. Fu commissionata all’artista da Raimondo Di Sangro, principe di Sansevero e personaggio particolare, circondato da sempre da un’aura maledetta. Secondo le leggende napoletane, infatti, Di Sangro fece uccidere due suoi servi per imbalsamarne stranamente i corpi (il riferimento è alle Macchine anatomiche), ammazzò sette cardinali per ricavare dalle loro ossa e dalla loro pelle altrettante sedie e accecò Sanmartino, autore dell’opera, affinché egli “non eseguisse mai per altri così straordinaria scultura”.
Le leggende non finiscono qui, perché sempre secondo le dicerie, Di Sangro “riduceva in polvere marmi e metalli” ed “entrava in mare con la sua carrozza e i suoi cavalli […] senza bagnare le ruote”.
Un altro fantasioso racconto riguarda le circostanze della morte del principe di Sansevero, che per i napoletani è il “Principe” per antonomasia. È ancora Croce a riportarlo: “Quando sentì non lontana la morte, provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano a tempo prefisso; senonché la famiglia […] cercò la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura, e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito, gettando un urlo di dannato”.
Sul capolavoro del Sanmartino, poi, è sorta quella che è probabilmente la più diffusa e la più inossidabile delle leggende, secondo cui il principe avrebbe “marmorizzato” attraverso un procedimento alchemico il velo del Cristo.
L’opera, realizzata nel 1753, è considerata uno dei maggiori capolavori scultorei mondiali ed ebbe tra i suoi estimatori Antonio Canova. Si racconta che l’artista veneto rimase talmente colpito dall’opera che avrebbe dato dieci anni della propria vita pur di poterne vantare la paternità, e che durante una sua visita a Napoli provò anche ad acquistarla, senza successo. Il grande artista dichiarò che avrebbe desiderato tanto essere lui l’autore di un simile capolavoro.
Già nel Settecento numerosi viaggiatori, anche illustri, si sono recati a Napoli per ammirare la statua.
Posizionato al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo Velato fu inizialmente richiesto dal committente Raimondo Di Sangro all’artista Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino.
L’opera originariamente sarebbe dovuta essere collocata nel mausoleo di famiglia sottostante la Cappella, vano che oggi ospita le Macchine anatomiche. Un piastrone di pietra indica oggi il punto preciso dove la statua sarebbe dovuta essere posta.
Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua.
Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento distante dai canoni del Corradini. Come riporta il testo sull’opera del Museo di San Severo, la moderna sensibilità dell’artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato.
Napoli, Cappella Sansevero
L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.
La magistrale resa del velo, «fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori» (come disse lo stesso principe di Sansevero), ha nel corso dei secoli dato adito a una leggenda secondo cui il committente, il famoso scienziato e alchimista Raimondo di Sangro, avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione del tessuto in cristalli di marmo. Molti visitatori della Cappella, colpiti dal velo scolpito, lo ritengono a torto esito di una “marmorizzazione” alchemica effettuata dal principe. Secondo la leggenda Di Sangro avrebbe poggiato sulla statua un velo vero che poi si sarebbe nel tempo marmorizzato attraverso un processo chimico.
In realtà una attenta analisi non lascia dubbi sul fatto che l’opera sia stata realizzata interamente in marmo.
Lo stesso di Sangro, in alcune lettere, descrive il velo come realizzato dallo stesso blocco della statua, senza l’utilizzo di alcun espediente alchemico.
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