Lo sapevate? Lo stadio San Siro ospitò anche un Mondiale di Pugilato
Il primo settembre 1960 Duilio Loi diventò Campione del Mondo di pugilato (terzo italiano a riuscirci, dopo Carnera e D'agata), nella categoria welter juniors. Nella cattedrale dello sport nazionale (San Siro), con l'Italia intera a spingerlo e un pesante pronostico ad accompagnarlo. Grazie a quel match, San Siro detiene il record di maggior affluenza a un incontro di pugilato a livello europeo, 53 043 spettatori.
Lo sapevate? Lo stadio San Siro ospitò anche un Mondiale di Pugilato.
Il primo settembre 1960 Duilio Loi diventò Campione del Mondo di pugilato (terzo italiano a riuscirci, dopo Carnera e D’agata), nella categoria welter juniors. Nella cattedrale dello sport nazionale (San Siro), con l’Italia intera a spingerlo e un pesante pronostico ad accompagnarlo. Grazie a quel match, San Siro detiene il record di maggior affluenza a un incontro di pugilato a livello europeo, 53 043 spettatori.
Un boxeur fra i più forti di ogni epoca, senza il potere «glamour» o i lineamenti dei suoi colleghi contemporanei (Benvenuti e Ali), ma con una forza, una classe e un pugno che gli permisero, a fine carriera, di contare 126 match, con 115 vittorie, 8 pareggi e 3 sole sconfitte. Rimediate da avversari che poi l’avrebbero pagata cara, battuti da Loi a loro volta. Una bella storia italiana. Di un uomo che era dato per finito ma che tornò a vincere, salendo sul tetto del mondo.
Come riporta un vecchio articolo del Corriere della Sera, era la sera della sfida della rivincita per il mondiale dei welter juniors contro il portoricano «svelto» Carlos Ortiz, il 24enne che solo due mesi e mezzo prima (il 15 giugno 1960 al Cow Palace di Daly City, vicino San Francisco) lo aveva stretto più volte alle corde con la propria velocità, portandolo alle 15 riprese in condizione di inferiorità. E guadagnandosi il verdetto (non) unanime della giuria. Proprio quella mancanza di unanimità aveva quindi aperto le porte a Loi per una rivincita «immediata», in un’epoca pugilistica in cui nessuno si risparmiava, centellinando le attese. Così, a 31 anni, Duilio Loi ebbe la seconda chance mondiale, lui che nei 10 anni precedenti – malgrado le vittorie a grappolo – era rimasto ai margini dei match iridati. Ma ci arrivava con sette anni in più del suo avversario più fresco e agile e ci giungeva fra il (malcelato) scetticismo generale. Malgrado la generosità del suo avversario, gli avesse consentito la rivincita su un ring italiano. Milano, intanto, aveva risposto alla grande: con oltre 53.000 paganti (e più di 100 milioni di lire d’incasso). Non solo finali di Champions e Mondiali di calcio, quindi per la Scala del calcio.
Duilio Loi era nato a Trieste nel 1929, da padre cagliaritano presto scomparso, che lo aveva lasciato capofamiglia. Era cresciuto a Genova, dove a 15 anni aveva preso a boxare. Sull’onda dei successi da dilettante nel 1948 era passato professionista, nel 1951 vincendo il titolo italiano. Per poi essere sconfitto ai punti dal danese Jorgen Johanssen nella sfida europea del 1952 (nel 1954 lo battè nella rivincita). La classe di una boxe stilisticamente quasi perfetta lo avrebbe sempre contraddistinto, così come la fortuna di avere all’angolo un manager in gamba come l’ungaro-americano Steve Klaus che gli garantì i due match con Ortiz e una borsa da 10mila dollari per il primo incontro. Giusto approvvigionamento per una famiglia in crescita: sua moglie Grazia aspettava il quarto figlio… Il secondo fu quella rivincita milanese, dopo la sconfitta californiana. Una sfida che sarebbe rimasta negli occhi di molti fra gli ottuagenari di oggi. Appassionati e non della noble art. Il nostro Paese, allora in piena rinascita economica, poteva permettersi le grandi organizzazioni pugilistiche e fu così che a Loi venne data l’opportunità di una rivincita con Ortiz il primo settembre dello stesso 1960 allo strapieno stadio calcistico di San Siro a Milano.
Quel primo settembre 1960 Loi sconfisse Ortiz ai punti in quindici riprese. Lo lasciò sfogare per le prime cinque, poi alla fine della sesta rialzò il capo, cominciando la rimonta che culminò alla settima con ganci sinistro e destro; combinazione precisa e pesante che scosse il portoricano. Da lì in avanti il triestino s’impadronì del match lentamente, fino a rallentare nelle ultime due riprese, visibilmente stanco. Il lavoro al corpo in cui Ortiz brillava portò inizialmente il match dalla sua parte ma Loi seppe risalire e, sostenuto dal suo pubblico, fare un grande finale in cui Ortiz fu costretto a difendersi dai colpi di quella piovra umana. Il verdetto, che scontentò non poco Ortiz, fu una majority decision a favore di Loi con i punteggi di 74-73, 72-69 e 72 pari. Duilio Loi era finalmente campione del mondo!
Ai punti due giudici assegnarono la vittoria al triestino (per una e tre lunghezze) mentre il terzo giudicò per il pari. Dino Buzzati scrisse di quel match per il Corriere: «Loi si sporse dalle corde facendo vedere l’indice della mano destra, l’unghia spezzata e sanguinante e ridendo esclamò: “Dicono che io non ho cuore. Dicono che io non so combattere”». Fu la sera della sua apoteosi. Sportiva e umana.
La “bella” si disputò sempre a Milano e sempre a San Siro il 10 maggio del 1961 e questa volta Loi vinse un grandissimo match in modo più netto atterrando anche Ortiz al 6° round. Il triestino adottato da Milano uscì vincitore unanime con i punteggi di 70-67, 74-69 e 74-66.
La carriera dell’uomo che, si diceva, fermava la circolazione dei tram meneghini perché anche il tramviere in servizio voleva vedere il match in televisione, non sarebbe comunque durata a lungo.
Dopo la terza sfida – ancora vinta ai punti – contro Ortiz nel maggio ’61 e altri match (memorabili i tre – pari, sconfitta e vittoria – contro Perkins), due anni e mezzo dopo la conquista del titolo (nel 1963) si ritirò dall’attività agonistica. Entrò nella International Boxing Hall of Fame, la lista dei più grandi pugili di ogni tempo. Unico italiano insieme a Nino Benvenuti. Unica grande amarezza della sua vita, quella del 1973. Quando suo figlio Vittorio fu condannato a 10 anni di carcere per l’omicidio del poliziotto Antonio Marino, avvenuto a Milano, durante scontri studenteschi di piazza. Malato di Alzhaimer, Duilio Loi sarebbe morto nel 2008 in provincia di Treviso.
San Siro è uno degli stadi più conosciuti a livello internazionale, oltre a essere il più capiente d’Italia, potendo ospitare 75 923 spettatori. Nel 2009 fu giudicato dal quotidiano britannico The Times il secondo stadio più bello del mondo.
La struttura è di proprietà del comune di Milano: si tratta dello stadio più grande d’Italia. San Siro è uno dei simboli del capoluogo. Esso infatti rappresenta una delle più ambite e visitate mete turistiche della città, insieme ad altre architetture di fama mondiale, come il Duomo, il Teatro alla Scala, la Pinacoteca di Brera, e il Castello Sforzesco.
Il progetto dello stadio è stato curato dall’ingegnere Alberto Cugini e dall’architetto Ulisse Stacchini nel 1925. La struttura subì, nel corso degli anni seguenti, diverse modifiche. Gli architetti Perlasca, Armando Ronca, Enrico Hoffer e l’ingegnere Leo Finzi lo trasformarono nella struttura architettonica oggi così famosa.
Nel 1925 il presidente del Milan Piero Pirelli sentì il desiderio di costruire uno stadio calcistico che fosse in grado di ospitare al suo interno numerosi eventi sportivi. Pirelli voleva che la struttura fosse costruita vicino all’ippodromo. Inizialmente la capienza dello stadio di San Siro era pari a 35.000 spettatori. La grande inaugurazione avvenne il 19 settembre 1926 dopo quasi un anno dall’inizio dei lavori. Per l’evento le squadre calcistiche Milan ed Inter si sfidarono in una partita amichevole che finì con la vittoria della squadra neroazzurra.
Fino al 1935 lo stadio San Siro apparteneva alla squadra del Milan, ma successivamente il Comune di Milano lo acquistò e lo ampliò: lo stadio raggiunse la capienza di 55.000 spettatori.
Lo stadio fu portato addirittura alla capienza di 100.000 posti, ridotti in seguito ad 85.000 per ragioni di sicurezza e successivamente prima a 80mila e poi a circa 76mila. Nel 1947-1948 l’impianto sportivo divenne anche casa dell’Inter.
Nel 1980 il Comune di Milano scelse di intitolare la struttura sportiva alla memoria di Giuseppe Meazza, calciatore di fama internazionale che durante la sua carriera vestì le maglie di entrambe le squadre milanesi e vinse due volte la coppa del mondo insieme alla nazionale italiana.
Per i Mondiali italiani del 1990 subì grosse modiche che portarono, oltre all’inserimento di una copertura su tutti i posti a sedere, anche alla creazione di un terzo anello per le tribune. Il Comune lo cede anche per gli allestimenti di importanti manifestazioni e concerti.
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