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Il vino bianco italiano più caro? Si fa in Sardegna e costa 1300 euro

Il Vermentino dei record lo fa a Palau Emanuele Ragnedda, figlio del fondatore della cantina Capichera (venduta lo scorso anno). Di seguito l’articolo di Repubblica a firma Paolo Massobrio che racconta l’esperienza della degustazione e intervista il giovane produttore.

“Dopo i bollettini meteorologici di questa estate, viene da chiedersi: chissà tra qualche anno – al netto degli sconvolgimenti climatici – cosa sarà la Sardegna del vino? Perché il panorama sta cambiando e continuano ad arrivare da qui le cantine in assoluto più interessanti che abbiamo scoperto in questi anni.

ConcaEntosa non fa eccezione ed ha una storia tutta da raccontare. Appartiene a un figlio d’arte, Emanuele Ragnedda, oggi trentanovenne, figlio di quel Mario Ragnedda che fondò (e ne è rimasto proprietario fino allo scorso anno) la cantina simbolo del Vermentino di Gallura, Capichera.

E proprio nella cantina di famiglia, Emanuele ha mosso i primi passi, svolgendo con rigore tutti i ruoli: dall’operaio al manager del settore estero. Prima ancora, a caratterizzare la sua forte personalità e lo spirito mai domo, gli studi a Milano e a Londra, gli anni vissuti in Argentina e negli Stati Uniti.

Nel 2016, poco più che trentenne, e a seguito anche di un percorso interiore tra partenze e ritorni dalla sua amata isola, ecco la coraggiosa decisione di lasciare l’azienda di famiglia per mettersi a produrre la sua personale interpretazione di Vermentino “dinamico, elettrico, senza schemi” cambiando prospettive a 360°. E affida i sette ettari vitati nel comprensorio di Palau, prospicienti la Corsica, lascito di suo nonno Andrea, alla professionalità dell’enologo Piero Cella, allievo del grande maestro Giacomo Tachis, che tanto ha fatto per la Sardegna del vino.

Il primo campione della cantina al nostro assaggio è l’Isola dei Nuraghi Shar 2020, che prende il nome da “Shardana”, i guerrieri impavidi che popolavano la Sardegna migliaia di anni fa. È un vermentino di razza, con naso evoluto di nocciola e idrocarburi che in bocca mostra i muscoli, ma forse ha bisogno ancora un po’ di affinamento per dare il meglio di sé.

Tuttavia, nell’immediato, abbiamo preferito l’Isola dei Nuraghi “Disco Volante” 2021: un capolavoro dal naso profondo, con carrube, fico d’india, accompagnati dalle note minerali che esplodevano anche in Shar. In bocca è potente ed equilibrato al tempo stesso, salino al punto da evocare il cappero. Vinificato come il precedente solo in acciaio, evoca nel nome originale scelto da Emanuele, una gigantesca pietra millenaria presente nel vigneto. Non conoscevamo il prezzo della bottiglia prima della degustazione: 1.300 euro, il prezzo più elevato della storia per un vino bianco italiano. (L’annata 2020 su internet si trova a 880 euro, ndr). E anche qui Emanuele – mentre manifesto il mio stupore – non lo trovo per nulla titubante e timoroso: “Si paga la dignità della Sardegna, senza alcun compromesso”. Del resto, rileggendo gli appunti della mia degustazione, la votazione è ai massimi (5 asterischi pieni), quindi una sorta di perfezione.

Ma è arrivata anche l’ora della sua firma su un vino rosso, L’Isola dei Nuraghi Niki Thai 2021, frutto di una vinificazione di uve cannonau e di una piccola percentuale di bovale. Anche qui, una scelta precisa rispetto all’uvaggio classico del Mandrolisai, il comprensorio dove è a dimora la parcella con piante di 60/80 anni d’età: ovvero quella di eliminare la terza uva autoctona, Monica, perché a suo parere nulla aggiunge e nulla toglie al blend. A differenza dei due vini precedenti, fa un passaggio di 5/6 settimane in legno nuovo. Percepisci la viola accompagnata da una nota ematica che sfuma nella mineralità di un naso quasi vulcanico. In bocca è velluto: avvolgente, elegante. E pure questo ha preso il massimo dei voti, anzi, è talmente buono che insieme a Marco Gatti abbiamo deciso di proclamarlo fra i 100 migliori vini d’Italia”.

 

 

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