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Lo sapevate? Per rilevare la presenza di Grisù nelle miniere si usavano i condannati a morte

La statuetta di ceramica della foto rappresenta una scena consueta nelle miniere di carbone e di zolfo del ‘700 e fino agli inizi dell’800. Si trova nel Museo dei Diorami di Montevecchio sulla vita nelle miniere e racconta di un metodo che veniva adottato per scongiurare le devastanti esplosioni che capitavano se il gas Grisù entrava in contatto con una fiamma.

Il Grisù è un gas caratteristico delle miniere di carbone e di zolfo, dove, poiché è più leggero dell’aria, si può anche trovare raccolto in sacche isolate nelle parti alte delle gallerie. Costituito da una miscela di altri gas, soprattutto metano, esplode a contatto con una fiamma o anche solo per una scintilla, essendo totalmente inodore per i minatori era impossibile individuarne la presenza.

Così venne escogitato un sistema alquanto crudele: si reclutavano i condannati a morte nelle prigioni e si facevano andare in avanscoperta lungo le gallerie con una lampada accesa. Inevitabilmente la presenza del Grisù a contatto con la fiamma avrebbe innescato un’esplosione, determinando la morte dell’uomo che comunque era destinato a quella fine.

Ma se dopo aver perlustrato le gallerie, il condannato fosse sopravvissuto perché non c’erano sacche di gas averebbe ottenuto la grazia e sarebbe tornato libero, avendo comunque garantito la vita ai minatori almeno per quella volta..

Il rischio delle esplosioni e quindi di incidenti gravissimi per i minatori fu scongiurato quando venne inventata la lampada di Davy, una lampada dotata di un ingegnoso sistema che teneva la fiammella accesa solo in presenza di ossigeno, quando invece veniva in contatto con altri gas, come appunto il Grisù, si spegneva avvertendo i minatori della presenza del pericolosissimo gas e nello stesso tempo evitando di innescare esplosioni.

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