Site icon cagliari.vistanet.it

Nelle viscere della terra: l’archeologia industriale racconta la cultura mineraria sarda

foto Parco Geominerario della Sardegna

La Sardegna terra antichissima, conserva nelle sue viscere una ricchezza di minerali che l’uomo fin dalle epoche più remote ha saputo sfruttare. Con metodi via via più raffinati e complessi l’uomo ha estratto da profondità sempre maggiori preziose materie prime. Fino ad arrivare al secolo scorso, quando, cessate le attività estrattive nell’Isola, sono rimaste le miniere in disuso, i borghi quasi fantasma, immensi musei a cielo aperto di archeologia industriale a testimoniare di un mondo che ha influenzato la cultura e l’economia di moltissime zone della Sardegna, scopriamone insieme alcune.

Funtana Raminosa

Nel cuore della Sardegna, lontana dall’immagine turistica usuale dei panorami della nostra isola, fatti di mare cristallino, spiagge da sogno e dune soffici come talco, si trova una piccola perla. Funtana Raminosa. L’unica miniera di rame della Sardegna. Siamo nella Barbagia più incontaminata, tra rocce che assumono forme evocative come giganti buoni, castagni e pini contorti e un placido silenzio interrotto solo dal verso di qualche animale che si nasconde tra il fitto dei boschi.

Formazioni vulcaniche del paleozoico e tacchi di età mesozoica si sovrappongono e a valle il Flumendosa. Ed è proprio osservando le sue acque che i nuragici intuirono che la generosa madre terra, nel suo ventre custodiva preziosissimi tesori: i metalli. I bronzetti ritrovati nella zona ci raccontano di un’attività estrattiva cominciata già nell’800 a. C. I Romani continuarono ad estrarre il minerale con tecniche più raffinate, delle quali ci hanno lasciato ampie testimonianze. Non solo su come estraevano il minerale ma anche su come lo lavoravano. Nella Galleria Romana è possibile ammirare le armature di pietra e legno recentemente restaurate.

Se c’è un aspetto che caratterizza questa miniera è l’esplosione di colori delle pareti delle gallerie. Le rocce sembrano essere state dipinte da madre natura ispirata dall’arte astratta, come un Pollock creatore che miscela sapientemente i minerali da incastonare nella pietra per arricchirla e renderla cangiante, complice l’acqua che filtra a gocce o in piccoli rivoli. E così i sensi del visitatore godranno appieno di uno spettacolo unico. Mentre l’udito sarà cullato dal ritmico suono dell’acqua, l’olfatto avvertirà l’odore dell’umidità e della natura che si rigenera in essa. La vista sarà colmata dalle incredibili sfumature del rame, del ferro e dei sali di zinco. E l’ossidazione che regala incredibili filamenti di azzurro come vene pulsanti suggerirà all’osservatore che la terra è inconfutabilmente viva, impegnata in una lentissima ma inarrestabile evoluzione.

E non sarà meno emozionante ammirare i macchinari utilizzati dagli instancabili minatori. Attrezzi inquietanti come la perforatrice, simile a una mitragliatrice che gli operai maneggiavano abilmente per condurre la loro personale battaglia contro il rischio e la fatica. Ma la guerra non si conduceva solo coi muscoli. A Funtana Raminosa infatti il racconto è fatto anche di genialità. Incredibili macchinari ancora perfettamente funzionanti, esempio impareggiabile di archeologia industriale ci narrano di ingegneri capaci di progettare “mostri” meccanici di enorme potenza.

Nella centrale dei compressori d’aria c’è un macchinario che davvero si fa fatica a credere possa risalire al 1910: un motore diesel bicilindrico che alimentava il generatore di corrente che faceva funzionare le perforatrici, e faceva salire i vagoni sul piano inclinato. Così come è ancora perfettamente conservata la rampa che porta al tunnel lungo oltre un chilometro, all’interno del quale è stato allestito un piccolo museo con l’esposizione delle macchine più recenti. A testimoniare dell’altissimo livello al quale arrivava la tecnologia nelle miniere sarde e dunque all’importanza che rivestiva l’attività estrattiva nella nostra terra, la splendida laveria, risalente ai primi del ‘900: la prima in Europa a separare i minerali per flottazione selettiva.

Il sito di Funtana Raminosa che si trova a Gadoni, piccolo centro impoverito dall’inarrestabile spopolamento che come un’emorragia giorno dopo giorno porta via i giovani costretti a cercare lavoro altrove, all’apice della sua attività arrivò ad occupare più di 300 operai. Per questo introno alla miniera sorse un piccolo villaggio: le abitazioni, la scuola, lo spaccio, l’ambulatorio, il laboratorio chimico e le officine. Dalla fine degli anni ’70 cominciò il lento ma inesorabile declino. Che divenne più marcato negli anni ’80 e a nulla valse il supporto delle partecipazioni statali. Per salvare l’attività nel 1982 fu installato un impianto di trattamento del minerale da mille tonnellate al giorno che però lavorò solo otto mesi. 19 minatori occuparono i pozzi, a 400 metri sottoterra per venti giorni nelle condizioni più sfavorevoli all’uomo, nel disperato tentativo di impedire la chiusura della miniera. Nel 1983, nonostante il rame si trovi ancora in abbondanza nelle profondità della miniera, l’attività estrattiva cessò del tutto. Oggi riconvertita in sito di archeologia industriale rappresenta un nuovo punto di partenza, di attrazione turistica che racconta in modo originale e diverso dagli altri siti, quanta ricchezza si nasconde nel ventre della nostra antichissima terra per gli uomini e le donne che l’hanno saputa sfruttare.

Sos Enattos

Ogni sito minerario racconta una storia diversa. Vanta dei primati. E il sito minerario di Lula, Sos Enattos non è da meno. In questa miniera infatti si svolse nell’aprile del 1899 il primo vero sciopero dei minatori in Italia. Quello che diede inizio a durissime battaglie per i diritti dei minatori che si estesero poi ad altri siti minerari dell’Isola alcuni dei quali, come quello di Buggerru del 4 settembre del 1904, ebbero un esito tragico. E gli scioperi nelle miniere si sono ripetuti ciclicamente, nel corso dell’attività estrattiva dei siti sardi. Fino a quelli più eclatanti, indetti negli anni ’80 e ’90, nel disperato e vano tentativo di evitare la chiusura definitiva.

Successivamente i siti dismessi sono stati inseriti nel Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna e hanno potuto vivere una seconda vita, progressivamente risistemati e aperti al pubblico. Il sito di Sos Enattos non è importante solo come testimonianza di archeologia industriale, ma anche perché inserito in un contesto ambientale di eccezionale bellezza, il Monte Albo, ricco di boschi di leccio, tassi, ginepri e macchia mediterranea popolato di mufloni e di aquile reali.

Anche a Sos Enattos l’attività estrattiva è cominciata in tempi antichi, si sa che in epoca romana, ci lavoravano schiavi condannati ad metalla, ai lavori forzati proprio nelle miniere. Nell’XI secolo D.C. , era stata fondata una colonia di schiavi ebrei gestita da un ricco possidente di nome Nabat o Nabatha.

Nel 1868 fu firmata la concessione della Miniera di Sos Enattos alla società Paganelli, che avrebbe estratto i minerali di argento e galena. Durante l’attività estrattiva però ci si rese conto che il giacimento era meno ricco di piombo argentifero ma nascondeva un importante giacimento di blenda. Tuttavia in quel periodo la blenda non era particolarmente ricercata. Nel 1905 la miniera passò alla Società Anonime Des Mines De Malfidano, compagnia mineraria franco-belga. L’attività estrattiva cessò momentaneamente per riprendere dopo la Seconda Guerra mondiale. Nel 1951 la RIMISA SpA. Chiede e ottiene nel 1962 una ”concessione mineraria”. Così la miniera di Sos Enattos vive un decennio di intensa attività caratterizzato dalla modernità delle attrezzature e da tecnologie all’avanguardia che si possono ancora ammirare.

 

Purtroppo però le speranze di un lavoro sicuro per i minatori si spengono nel 1971, quando il settore piombo-zincifero viene attraversato da una profonda crisi e dunque proprio mentre veniva fatto un importante investimento per intensificare l’estrazione del minerale in profondità, con la realizzazione del pozzo Rolandi, gli investitori privati si tirano indietro. Ancora una volta il futuro dei lavoratori delle miniere si trova in bilico e per loro si prefigura un periodo di speranze e disillusioni, determinate dagli interventi di enti come l’Ente Minerari Sardo che provano a rilanciare l’attività, ma con pesanti tagli al personale. Fino al 1996 quando anche questo sito minerario sardo cesserà una volta per tutte la sua attività.

A circa 2 chilometri da Lula sorge la chiesetta campestre di San Francesco d’Assisi, molto cara ai minatori e meta di pellegrinaggio. La leggenda vuole che sia stata costruita nel 1600 da un bandito nuorese per aver ricevuto la grazia dall’accusa di omicidio. Ogni primo maggio e 4 ottobre si celebra una festa. I pellegrini vengono accolti nelle “Cumbessias” delle piccolissime abitazioni costruite proprio a quello scopo, e viene offerta ai fedeli, la minestra calda con “Su Filindeu”, ( i fili di Dio ) una pasta particolarissima che si prepara solo in Sardegna.

La miniera di Sos Enattos è momentaneamente chiusa al pubblico, ma non appena verrà riaperta, merita una visita. Il magnifico contesto storico e ambientale incornicia una delle miniere più belle dell’Isola. E quando il visitatore affronterà la lenta discesa nell’ascensore aperto e piano piano avvertirà il cambiamento della luce, della qualità dell’aria, dei rumori ovattati dell’esterno che a poco a poco scompaiono e proverà a immedesimarsi nei minatori che ogni giorno scendevano nelle viscere della terra, si domanderà perché tenevano tanto a quel lavoro. La risposta è che le miniere non erano semplicemente un posto di lavoro, ma il fulcro di un universo in cui si consumava un’incessante sfida tra l’uomo e la natura. Una sfida nella quale ognuno, minatori e ingegneri, operai, sorveglianti, dirigenti, chimici e impiegati, donne uomini e bambini ricoprivano un ruolo preciso che dava un senso alla loro vita (talvolta fatta di estrema fatica e sfruttamento) ma garantiva a ciascuno la speranza di un futuro migliore.

Montevecchio

Se c’è un luogo che può davvero raccontare agli occhi e al cuore cosa abbia significato la vita di miniera per gli uomini e le donne della Sardegna è proprio Montevecchio. Un luogo unico e incantato che è riuscito a intrappolare, a cristallizzare nel tempo, come un’istantanea, il senso della vita di una piccola comunità. Un mondo a parte che si può conoscere visitando il borgo e la miniera, una narrazione attraverso gli edifici che resistono, conducendo una lotta impari col trascorrere del tempo e il lento logorio delle intemperie, per conservare il ricordo di una stagione lavorativa e umana della nostra terra che non tornerà mai più.

L’attività estrattiva della miniera è durata quasi un secolo e mezzo, dal 1848, quando re Carlo Alberto concesse lo sfruttamento per primo a Giovanni Antonio Sanna, uomo illuminato, lungimirante, che in alcuni periodi della sua vita fu tra gli uomini più ricchi d’Europa. La palazzina arredata con i mobili dell’epoca, alcuni dei quali originali, mostra come si svolgeva la vita al suo interno, le sale del piano terra che oggi ospitano l’esposizione permanente di oggetti legati all’attività estrattiva appartenenti all’ultimo erede della famiglia Sanna, Castoldi. Al primo piano sale riccamente decorate per ospitare feste, l’incantevole “Sala Blu” che fa sognare e una splendida sala da pranzo, e ancora ambienti più piccoli dove i componenti della famiglia trascorrevano le loro giornate, per arrivare all’ultimo angusto piano, dedicato alla servitù, con stanzette arredate modestamente, gelide d’inverno e roventi d’estate.

Nel borgo, incastonato tra fitti boschi e il selvaggio mare di Piscinas, vegliato dal severo e inconfondibile profilo di Arcuentu, sono presenti edifici appartenenti a diverse epoche, da quelle della fine dell’800 a quelle risalenti ai primi anni ’40 in pieno Ventennio, memorabile e ricca di testimonianze la visita di Benito Mussolini. Accanto agli edifici adibiti ad abitazione per impiegati e operai, che è abbastanza semplice distinguere gli uni dagli altri, per la ricercatezza delle rifiniture, molto più economiche per i secondi, ci sono le strutture che ospitavano i laboratori, le scuole, l’ospedale e i momenti di svago. Bellissimi gli alloggi della foresteria dove è ospitato il particolarissimo museo dei diorami. Vi sono poi ospitati il museo dei minerali e quello dei gioielli della Collezione Castoldi che comprende anche alcuni reperti di epoca romana.

Accanto alla Palazzina della direzione si trova la chiesa di Santa Barbara, patrona dei minatori, una chiesetta nella quale ancora oggi il sabato sera si celebra la messa. Nella piccola piazzetta di fronte allo spazio che ospitava l’ufficio postale, operativo fino a qualche anno fa, si trova l’albergo “Al Cilnghiale”, un edificio tutelato, acquistato da privati attraverso un’asta pubblica e sottoposto attualmente a restauro. Nella piccola piazza campeggia un monumento dedicato alle 11 donne che il 4 maggio del 1871 persero la vita perché il tetto del capannone nel quale dormivano, cedette sotto il peso di un enorme serbatoio. Le cronache del tempo la definirono disgrazia. In realtà quell’evento fu l’esito di una logica comune al tempo (e non del tutto superata neanche oggi) , che considerava più importante il profitto della vita umana.

 Guarda la gallery
 foto Montevecchio 8  

La miniera di Montevecchio visse momenti fiorenti, arrivò ad occupare più di 1100 operai e la visita a Piccalinna lo testimonierà, con la sua architettura particolarissima, fatta di torri smerlate in stile medievale. Le immense officine, i cantieri, l’imponente macchina d’estrazione, 120 cavalli vapore in grado di estrarre venti metri cubi di materiale all’ora: una macchina assolutamente all’avanguardia per la fine del XIX secolo, esempio unico al mondo, ancora perfettamente in grado di funzionare. È possibile visitare gli alloggi degli operai occupati fino agli anni ’20 in contrasto con lo sfarzo della Palazzina della direzione, dimore umilissime con un unica latrina condivisa da tante famiglie che parlano di una società rigorosamente divisa per classi sociali.

La visita a Montevecchio, gioiello di archeologia industriale, immersa in un contesto ambientale talmente selvaggio che i cervi vi pascolano lungo le strade, vi rimarrà nel cuore, soprattutto se avrete la fortuna di incontrare uno dei pochi abitanti che ancora risiedono nel borgo. Pazientemente vi racconterà di quel mondo, in cui si rischiava la vita, scavando il ventre della terra, così in profondità da avere tanto caldo, da non riuscire a indossare nemmeno la canottiera, da respirare aria convogliata dall’esterno, puzzolente e polverosa, convivendo con l’incertezza di tornare in superficie interi o addirittura vivi. Eppure mentre lo racconteranno rimpiangeranno quel periodo, di quando gli impiegati si imboscavano alle feste degli operai, perché c’erano le ragazze più belle, di quando arrivava la paga e si faceva il mercatino, si poteva comprare la carne e vedere crescere i propri figli in mezzo alla natura incontaminata. Allora capirete di essere stati proprio lì, dove il paradiso e l’inferno si incontravano sulla terra.

foto Parco Geominerario della Sardegna

Porto Flavia
Porto Flavia è una tappa che non può mancare se si vuole fare un viaggio all’insegna dell’archeologia industriale. Questa miniera infatti rappresenta una sorta di unicum. Un capolavoro di ingegneria, per l’epoca assolutamente avveniristico: un tunnel lungo 600 metri che sbuca nel bel mezzo di una parete di roccia a strapiombo che dà direttamente sul mare. Si trattava di un sistema di imbarco del materiale estratto dalla miniera e destinato alle fonderie del nord Europa, direttamente sulle navi, che riduceva così i tempi e soprattutto le spese di trasporto. Fino a quel momento infatti il materiale estratto veniva trasportato a mano e caricato su piccole imbarcazioni a vela che trasferivano il materiale al porto di Carloforte da dove poi prendevano il largo per il continente In pratica furono costruite due gallerie sovrapposte, nella superiore si caricavano i silos di grandi dimensioni, da quella inferiore, grazie a un braccio mobile i minerali estratti venivano caricati
direttamente sui piroscafi.

 Guarda la gallery
 miniere -1 pezzo ras 4  

Porto Flavia si trova a Masua, nel Sulcis, e fu realizzato tra il 1922 e il 1924, fu chiamato in questo in modo in onore di Flavia la figlia di Cesare Vecelli, il direttore che progettò il capolavoro tecnologico. L’attività della miniera cominciò intorno alla metà dell’800 e crebbe fino a contare più di 700 addetti alla fine del secolo. Negli anni venti visse un momento di rilancio grazie alla società Vieille Montagne, poi
però piano piano cominciò il suo declino. Come sempre intorno ai grandi siti minerari anche a Masua sorse un villaggio, con la sua chiesa, la
scuola, l’ospedale e le abitazioni degli operai e le loro famiglie, a Masua è presente anche un museo, il Museo delle Macchine da miniera che ospita numerosi macchinari e attrezzature per l’attività estrattiva. La bellezza di Porto Flavia e di tutto il sito minerario non si limita però all’archeologia industriale, la miniera infatti si trova inserita in una meravigliosa cornice, quella del mare sardo. Davanti a Porto Flavia
infatti, si trova una piccola spiaggia, acqua cristallina e panorama mozzafiato. All’orizzonte si staglia Pan di Zucchero, un monumento naturale, un faraglione di roccia alto 133 metri e modellato dall’azione della natura.

Rosas
Rosas si trova vicino a Narcao, scoperta nel 1832 venne riconosciuta come area mineraria nel 1849 e nel 1851, ottenne dal re Vittorio Emanuele II la concessione per l’estrazione della galena, come Società Anonima dell’Unione Miniere del Sulcis e del Sarrabus. Nella miniera Rosas si estraevano piombo, zinco e ferro. Restò attiva sino al 1980 quando venne chiusa definitivamente. Il complesso degli edifici e delle strutture minerarie è stato recuperato e ristrutturato. È stato creato il Museo Villaggio minerario di Rosas che comprende anche strutture ricettive. Come in molti siti minerari sardi, si trovano apparecchiature ancora funzionanti che testimoniano del livello tecnologico avanzato per l’epoca. All’interno della laveria si possono ammirare i grandi mulini per la lavorazione del minerale. Lo stesso edificio ospita anche il museo. Si può visitare la galleria di Santa Barbara in cui si possono osservare le difficili condizioni di lavoro dei minatori, e quanto fosse duro il lavoro di estrazione di piombo e zinco. Ci sono poi gli edifici come l’ex ufficio postale, la direzione, i depositi, le fucine, la foresteria e gli alloggi dei minatori.

 

Ripartiamo dalla Sardegna
Sardegna, capace di abbracciare il mondo

 

Exit mobile version