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Lo sapevate? Gramsci da bambino visse un trauma che rivelò solo da adulto

Articolo di Roberto Anedda

Un ricordo terribile, quello che riporta Antonio Gramsci in una lettera inviata dal carcere a Tatiana Schucht, sorella della compagna: racconta di un periodo particolare, quando, da bambino, si era dovuto trasferire a Ghilarza con il resto della famiglia dopo l’arresto del proprio padre.

L’intellettuale di Ales narra, nella lettera datata 30 gennaio 1933, quanto avvenne in un vicino villaggio a quello in cui risiedeva, in un fondo, fuori dal centro abitato.

Gramsci ritorna con la mente a quella domenica in cui si recò presso una famiglia conosciuta, da una donna alla quale avrebbe dovuto consegnare dei lavori realizzati con l’uncinetto dalla madre e poi riscuoterne il compenso.

Incontrò la signora sull’uscio dell’abitazione, era vestita a festa per la messa e sotto braccio aveva un contenitore. Dopo un attimo di indecisione, la donna spiegò al giovane Gramsci che avrebbe preso e pagato i lavori più tardi, prima lui avrebbe dovuto accompagnarla in un determinato luogo.

Arrivati in un terreno lontano dal paese, pieno di rottami e calcinaci, i due si avvicinarono ad una costruzione che all’apparenza sembrava una porcilaia. Questo edificio si presentava senza finestre, solo con un robusto portone d’ingresso.

Aperta la porta, dal fondo della porcilaia arrivò un mugolio e si stagliò una figura umana: era un ragazzo sudicio legato in vita con una catena assicurata ad un anello infisso al muro.

Il giovane, sui diciotto anni e di costituzione robusta, non riusciva a camminare ma si muoveva saltando sul sedere.

La donna riempì il trogolo in pietra con il contenuto della sua cesta, residuo di cibo misto a mangime, e versò dell’acqua nell’abbeveratoio, subito dopo chiuse la porta e andarono via lasciando alle loro spalle il ragazzo segregato.

Come scrive nella lettera Gramsci, si trattava del figlio della signora, quello di cui aveva solo sentito parlare ma che non aveva mai visto a differenza degli altri. Tutti quanti raccontavano sempre la vicenda di questo figlio mostruoso come fosse una sventura per la povera donna.

L’intellettuale di Ales non poteva immaginare la verità celata al mondo sulla sorte del povero ragazzo, e fu talmente colpito dalla vicenda da non svelarla a nessuno. Esisteva inoltre il rischio di non essere creduto.

Per sempre rimarranno nella sua mente gli occhi “fiammeggianti da animale notturno” del giovane incatenato e imprigionato dalla sciagurata madre.

Un peso opprimente nella coscienza di Gramsci, quello di non aver potuto e non essere riuscito a fare niente per le sorti del povero ragazzo.

Solo un anno dopo la lettera in cui svelava questo atroce aneddoto della propria infanzia, l’intellettuale di Ales avrebbe ottenuto la libertà condizionale e sarebbe stato ricoverato in una clinica nel ’34 visto il peggiorare delle sue condizioni di salute. Qui sarebbe morto poco dopo il 27 aprile del ’37.

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