Site icon cagliari.vistanet.it

Com’erano le miniere nell’antichità? Visitate il museo di Diorami di Montevecchio e lo vedrete in miniatura

Enrico Dellacà è un medico originario di Iglesias, ma cagliaritano d’adozione, da sempre appassionato di miniere e della vita mineraria. Dopo aver sostenuto studi approfonditi su come si svolgeva la vita nelle miniere, ha commissionato a un noto e abilissimo ceramista di Cagliari, Raffaello San Filippo, la ricostruzione in ceramica degli ambienti e delle scene che si sarebbero potuti vedere in miniera nelle diverse epoche storiche. Il risultato è davvero strabiliante. Ed è possibile vederlo nell’edificio dell’ex Foresteria nel Borgo minerario di Montevecchio, perché Dellacà ha messo generosamente a disposizione la sua collezione di diorami affinché tutti la possano ammirare. In realtà quella esposta è una parte della collezione, che Dellacà ha messo interamente a disposizione del museo, al momento però si devono ancora allestire gli spazi per poterla esporre tutta.

 Guarda la gallery
 diorami montevecchio 14  

Come si può notare nelle immagini della gallery, che per quanto nitide non rendono certo l’effetto che questa esposizione produce dal vivo, i Diorami partono dal neolitico in Sardegna, per arrivare fino alla metà del’800 a Montevecchio, passando per le ricostruzioni delle miniere al tempo degli Etruschi, dei Romani e facendo anche un salto nelle miniere di carbone inglesi del ‘700. Nella prima sala dell’esposizione campeggia la riproduzione del pozzo di San Giorgio a Iglesias, unico nel suo nel genere, fa pensare a un castello, e fornisce un immagine piuttosto romantica della miniera. In realtà le ricostruzioni presenti nelle altre sale sono talmente fedeli, che colpisce la durissima condizione degli schiavi o dei galeotti condannati ai lavori più pesanti e pericolosi. Ma forse l’immagine che rimane maggiormente impressa è quella dei bambini, anche molto piccoli, che venivano fatti lavorare in spazi angusti proprio per le loro piccole dimensioni. E mentre i più giovani avevano il compito di aprire e chiudere le porte in legno, per consentire il ricambio d’aria nelle gallerie, ai più grandicelli toccava il compito di riempire e spingere i carrelli pieni di minerale.

In alcune sale si può vedere come anche le donne fossero impiegate nel lavoro minerario, in Inghilterra lavoravano anche all’interno delle gallerie, mentre a Montevecchio lavoravano all’esterno, come cernitrici, il loro compito era di separare il minerale utile da quello sterile. Ma questo non significa che fosse un lavoro meno pesante o meno pericoloso, le cernitrici come si può vedere nella ricostruzione del “Crivello Sardo”, lavoravano scalze estate e inverno con le mani e piedi immersi nell’acqua e anche loro non erano immuni da gravi rischi. Nel 1871, il 4 maggio, 11 tra donne e bambine morirono per il crollo del tetto del dormitorio, a causa del cedimento di un serbatoio. Non andava meglio certo agli uomini, nelle gallerie della miniera, si raggiungevano anche i 60 gradi, gli operai lavoravano senza alcun tipo di protezione e avevano un’aspettativa di vita brevissima, se non perivano prima nel corso di qualche crollo o esplosione.

Uno dei maggiori pericoli per i minatori, nelle miniere di carbone era la presenza del gas grisù, un gas estremamente pericoloso perché inodore. Una delle statuine in ceramica rappresenta un condannato a morte circondato di teschi, in Inghilterra infatti, per ovviare al problema del grisù avevano ideato un sistema tanto efficace quanto crudele: un condannato a morte veniva mandato nelle gallerie prima di far scendere gli operai. Il mancato ritorno in superficie del condannato segnava la presenza del pericoloso gas, se invece il condannato risaliva, gli operai potevano scendere senza correre rischi. Se per cinque volte il condannato fosse uscito indenne dalla prova avrebbe ottenuto la grazia. Purtroppo non esistono dati storici a testimoniare se, e quanti condannati sono riusciti a salvarsi.

I mestieri legati all’attività della miniera in Sardegna, non erano solo quelli del minatore e della cernitrice, c’erano anche i “Carretteris”, i carrettieri che avevano il compito di trasportare il minerale dalla miniera fino a Cagliari, prima che venisse costruita la fonderia di San Gavino nel 1932. I carri trainati da buoi impiegavano ben 6 giorni da Montevecchio a Cagliari, e facevano tappa a Gonnosfanadiga e a Villasor, dove erano state predisposte delle locande in grado di ospitare anche il bestiame. Il viaggio di rientro però non era a vuoto, infatti i carri venivano riempiti con l’esplosivo necessario per l’attività mineraria, fornito dall’Autorità Regia. Un’altra attività connessa a quella delle miniera era il trasporto del minerale via mare, della collezione Dellacà fa parte anche il modellino di bilancella, un’imbarcazione che serviva per trasportare il minerale estratto da Ingurtosu. La bilancella salpava da Piscinas diretta a Carlo Forte e da qui il minerale veniva poi trasportato a Genova o La Spezia per essere lavorato.

Osservando i diversi diorami si può capire che il progresso ha facilitato e migliorato la sicurezza dei lavoratori, basti pensare all’ascensore che inizialmente era costituito da un botte sollevata con degli argani azionati a mano. Quando a Montevecchio arrivò la corrente elettrica, nel1903, il lavoro per gli operai si alleggerì notevolmente, tuttavia quello del minatore è stato e rimane uno dei lavori più faticosi e pericolosi che l’uomo possa svolgere.Vale la pena visitare questa esposizione anche perché con un unico biglietto è possibile visitare anche il museo dei minerali.

Exit mobile version