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Lo scienziato sardo Ciriaco Goddi si racconta: «Dai libri di Stephen King alla prima foto del buco nero»

Tra i protagonisti della foto del secolo, così come è stata ribattezzata dagli scienziati, c’è anche il ricercatore sardo Ciriaco Goddi. Parliamo della prima immaginate ricostruita virtualmente di un buco nero. Il progetto internazionale Event Horizon Telescope di cui Goddi fa parte di fatto ha confermato la teoria della Relatività di Einstein. Durante un evento di presentazione delle scoperte ottenute, tenutosi nella cittadella universitaria di Monserrato questo pomeriggio,  è stato lo stesso scienziato a descrivere il valore della foto al buco nero, chiamato M87, con un concetto semplice a tutti: «Se volessimo fare un paragone tangibile nella realtà questo scatto, anche se ricostruito digitalmente, è stato un po’ come riuscire a vedere con un telescopio una pallina da tennis sul terreno lunare oppure come riuscire a leggere un giornale aperto su una pagina a caso a New York osservando con un binocolo da Cagliari».

Goddi ha raccontato la sua storia ai diversi studenti presenti, una storia iniziata sugli stessi banchi della cittadella di Monserrato. Lo scienziato, nato a Nuoro, infatti si è laureato nell’Università di Cagliari, dove ha preso anche un dottorato, per poi volare prima negli Stati Uniti e poi in Olanda, dove attualmente vive, per diventare un ricercatore di fama mondiale.

L’immagine del buco nero M87 realizzata dal gruppo di ricerca guidato tra gli altri dal sardo Ciriaco Goddi

Ma come è nata la passione per i buchi neri dottor Goddi?

«In realtà galeotto da adolescente fu un libro di Stephen King proprio su questo tema. Da lì mi convinsi sempre di più a proseguire in questi studi ma per anni non ho lavorato sull’argomento. Poi circa cinque anni fa ho avuto la possibilità di entrare a far parte del progetto Event Horizon Telescope».

Vi aspettavate che l’immagine della vostra ricerca diventasse virale anche sul web?

«La foto del buco nero l’avevamo già da qualche mese, verso la fine del 2018, ma prima di pubblicarla abbiamo aspettato per fare nuove verifiche e soprattutto per preparare un piano comunicativo efficace con la comunità scientifica. Sapevamo che a livello di studi questo era un passaggio chiave, quello che ci ha sorpreso è stato l’effetto che quest’immagine ha avuto in tutte le persone, anche sui social. Forse proprio perché si tratta di una scoperta che ci dà l’idea tangibile della grandezza dell’universo che le persone anche non esperte si sono appassionate».

Quali sono gli aspetti fondamentali della foto a M87?

«Ora sappiamo che tutte le galassie hanno al loro centro un buco nero con una grande massa. Anche la nostra ne ha uno, più piccolo di M87, che si chiama Sagittarius a*. Paradossalmente è più complesso vedere questo buco nero ma sarà il nostro progetto futuro. La foto di M87 ci fa capire inoltre che i buchi neri sono entità dinamiche che fagocitano la materia loro intorno e che crescono nel corso del tempo. La materia intorno al buco nero è quella che ci dà la luminosità e ci ha permesso di identificarlo in maniera chiara».

Come è stato possibile fare una foto a un buco nero di un’altra galassia?

«Per riuscirci abbiamo creato una rete di telescopi in comunicazione tra loro enorme. Dalla Spagna, passando per il Polo Nord, il Polo Sud, gli Stati Uniti, il Messico e il Cile. In pratica è come se un enorme telescopio grande quanto l’oceano Atlantico e più abbia lavorato per arrivare a ricreare la foto di M87. La cosa più complicata è avere lo stesso clima, favorevole allo studio, in posti così lontani. Spesso ci vogliono settimane o mesi prima di raccogliere dati validi».

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